LO SGUARDO DELL’ALTRO è il titolo e il tema fondante di questo saggio scritto da Santa Fizzarotti Selvaggi, nella duplice competenza di critico d’arte e studiosa di psicoanalisi.
E uno sguardo che racchiude in sé la pienezza dei tanti sguardi capaci di attraversare il tempo e lo spazio, quelli che l’arte in tutte le sue forme ci rimanda. Parliamo in questo caso dello sguardo del pittore Paolo Finoglio che pare scrutare lo spettatore da un angolo della grande tela del supplizio di Olindo e Sofronia. Parliamo degli sguardi altri dei due giovani cristiani destinati al rogo, un Olindo che il Finoglio vuole ancora preso dalla passione terrena per la bella fanciulla, e una Sofronia che invece alza i suoi occhi rassegnati al Cielo.
La fine di Eros e l’inizio di Thanatos, per entrare in un tema che appassiona l’autrice. Il presumibile autoritratto del pittore, secondo l’interpretazione dell’Autrice e della restauratrice Titti Matera, si offre allo sguardo del visitatore in tutta la sua enigmatica espressività. Cosa avrà voluto dire agli sguardi altri il Finoglio, ritagliandosi un posto nella scena drammatica del supplizio? Si affaccia forse al ritrovato mondo del teatro, forma espressiva di una nuova arte, dei nuovi tempi, la vita come messa in scena, fra figure artificiose e poco naturali, fra allegorie e finzioni? Mentre la realtà è sconvolta da conflitti sociali, guerre, lotte di religione, la messa in scena, in fondo, fornisce un appiglio sicuro.
Ma, non sempre è possibile allontanare le avversità della vita quotidiana. Così allo sfoggio materiale si contrappone nell’arte la pia devozione e la riflessione sull’inevitabilità della morte e della sua drammatica rappresentazione. Quale luogo è più adatto a rappresentare le due facce della vita se non il teatro, con la sua capacità di spaziare fra commedia e tragedia, farsa e dramma liturgico, ricchezza e povertà? O forse, il gioco dell’arte è attraversato dal desiderio smisurato di immortalità, e l’arte, più in particolare, rappresenta gli oscuri umani tormenti e il tentativo disperato del loro superamento?
Paolo Finoglio forse è lì, nella sua grande tela, con il suo enigmatico sguardo, per ricordarci la sua vita convulsa, e le commedie e tragedie dell’esistenza complessa del suo mecenate, il conte Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, e della moglie, contessa Isabella Filomarino. Si deve a loro se lo sguardo del Finoglio giunge a noi e i nostri sguardi hanno ancora tempo e modo di interrogare il suo. Il Conte, un uomo impetuoso, con due anime, quella guerresca senza scrupoli e senza timori, e quella dell’uomo di corte letterato e devoto; lei, Isabella, una nobildonna partenopea, tanto amante del teatro e della vita sontuosa di corte, quanto determinata e spregiudicata nelle rocambolesche vicende giudiziarie del marito e dei figli. E a fermare e ad offrire agli sguardi altri dell’arte, attraverso la metafora delle immagini, una storia così complessa, c’è lui, il Finoglio. Un pittore di corte, tanto solerte nella sua bottega su temi religiosi e profani impegnativi, quanto capace di tutto, tanto da essere stato forse coinvolto in un omicidio, con la vita difficile e complessa di un qualunque artista del XVII secolo.
Il saggio critico-psicoanalitico di Santa Fizzarotti Selvaggi si addentra nelle pieghe di tutti gli sguardi altri che giocano e danzano, confondono e, susseguendosi nel tempo, scrivono l’epigrafe eterna di un’opera d’arte, in questo caso quella delle dieci tele di Paolo Finoglio, tutte ispirate al poema epico di Torquato Tasso.
C’è sempre un altro sguardo intorno ad una espressione artistica: può essere quello del pittore, quello del poeta, del critico d’arte, del lettore, del fruitore finale dell’opera, di Apollo o di Clio. Così come c’è sempre il valore assoluto di un’opera, frutto de “l’estro armonico” di un artista; mutuando da Vivaldi il titolo di una sua composizione, parlo di quell’ossimoro che vuole evidenziare la ricerca del perfetto punto di equilibrio fra due esigenze opposte: da un lato l’estro, cioè la pura fantasia che si scatena in totale libertà, e dall’altro gli stretti vincoli matematici dettati dalle regole dell’armonia.
Particolarmente complessa risulta pertanto la lettura che l’autrice dà degli sguardi altri delle donne del Finoglio, intese come raffigurazioni pittoriche intrise di metafore ed allegorie. Sono forse intuizioni del Tasso quelle che nella sua Gerusalemme liberata egli ha affidato alle poetiche armonie?
E del poeta la lettura degli universi femminili che popolano la storia e il mito del poema epico? O è tutta del Finoglio la rilettura fantastica e teatrale dei personaggi, svolta da un artista che mette insieme un caravaggismo della prima ora a carattere napoletano con uno sguardo alla tradizione pittorica più prettamente leccese per conseguirne una rappresentazione del tutto personale? Rinaldo e Armida nel giardino incantato appare come un gigantesco fotogramma, sensualmente vibrante e dedicato a Rinaldo, l’eroe tanto amato dal Tasso e ad Armida, l’incantatrice che scherza con l’amore e che infine, vinta dall’amore, non potrà più ingannare, “...ella del vetro a sé fa specchio, ed egli gli occhi di lei sereni a sé fa spegli”: un incrociarsi di sguardi di passione, quello di Armida portatore di una bellezza incantatrice che tradisce la sua natura di maga per trasformarsi in donna innamorata, e quello di Rinaldo che attraverso il doppio filtro degli specchi, in un gioco seduttivo di immagini, tra apparenza e realtà, dimentica se stesso e la sua missione.
Clorinda, Sofronia, Armida, Erminia, le ardenti protagoniste femminili del poema traducono in sguardi l’amore, che appare così in molteplici forme, misurate, limpide, controllate, facendosi trappola per lo spettatore che intende lasciarsi catturare. E infine, nelle protagoniste e nei guerrieri rappresentati si nascondono metaforicamente i personaggi della Corte del Guercio? Nell’eroe Tancredi possiamo ravvisare le gesta dei Conti di tutta la Casa Acquaviva che il Tasso tanto lodò nelle sue rime? Nelle forme armoniose della bellissima Armida nel giardino incantato sono abilmente evocati il fascino, la fermezza e la volitività di Isabella Filomarino?
Il saggio di Santa Fizzarotti Selvaggi fornisce una chiave di lettura dinamica per poter uscire dalla fascinazione dei chiaroscuri pittorici e farsi prendere dagli sguardi. Senza dimenticare la suggestione di Leonardo: “Il pittore è padrone di tutte le cose che possono cadere in pensiero all’uomo, perciocché s’egli ha desiderio di vedere bellezze che lo innamorino, egli è signore di generarle...”.
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