L'unificazione dell'Italia meridionale coi Normanni prima e, più saldamente poi, con gli Svevi e gli Angioini, diede sicuramente alla storia delle nostre regioni un indirizzo e un andamento del tutto differente da quello che ebbero l'Italia centrale e settentrionale e lo Stato Pontificio. Ma la storia non è semplice successione cronologica di fatti più o meno strettamente collegati alle sorti di una dinastia, cadente o nascente, o di una qualsiasi forma di governo, in cui le competizioni territoriali, la successione dinastica con tutte le conseguenze hanno il sopravvento sulle altre forze che pure contribuiscono a modificare il corso storico degli avvenimenti. Insomma, gli avvenimenti di vasta portata, per le modificazioni cui danno luogo, hanno bisogno di una lenta, metodica preparazione anteriore. Perciò, da noi, nelle diverse manifestazioni umane, di pensiero e d'azione anche, in relazione appunto con l'andamento più generale, sono da ricercarsi le caratteristiche che possano denotare una peculiarità della nostra regione. E del resto, rimanendo ancora nel campo stretto degli avvenimenti immediati, il contributo che ogni singola regione porta nel cambiamento di uno stato di cose o nella successione di una forma di governo ad un'altra, è tale e tanto, in proporzione appunto dei vari elementi, da dare ad un luogo una peculiarità che un altro non ha in quel dato momento storico. Ora collegando pure nell'unità statale, nell'uniformità di leggi, d'istituzioni, tanta disparità di forze che agiscono nel mutamento o nel consolidamento dell'autorità suprema dello Stato, noi possiamo avere la storia di questa o quella regione. E' certo, ad esempio, che ai tempi degli Svevi, la Capitanata, con Foggia residenza di Federico II, fu imperiale e antipapale, in un modo differente da come lo fu il napoletano o il leccese; così, durante il dominio Angioino, la Puglia fu francese come non lo fu la Sicilia che nel marzo del 1282 diede luogo al famoso Vespro al quale portò un notevole contributo un insigne esule, Giovanni da Procida 1; l'apporto della Capitanata all'unità italiana non è lo stesso delle altre provincie. E se ancora, a dimostrare che la storia delle singole regioni si può sempre fare, nell'Italia meridionale avemmo una unità monarchica, un legame strettamente unitario hanno anche le repubbliche comunali dell'Italia settentrionale. Per cui, come da noi si può far la storia del Regno di Napoli, dagli altri, in una trattazione generale, come ce ne sono tante, si può fare quella dei Comuni, delle Signorie, delle Repubbliche ecc. E come i tanti comuni hanno varie disparità pur nella quasi costante uniformità delle istituzioni di governo, così, nel Regno di Napoli possiamo avere la storia di Capitanata o di un'altra regione qualsiasi, secondo le diverse modalità con cui fu sentita, propagata, diffusa ed accettata la Monarchia, come si sviluppò il sentimento monarchico, o come partecipò al rovescio di un governo per dar luogo ad un altro. E poi, lo dicevamo in principio, dobbiamo considerare le altre forze necessarie che non sono estrinseche alla storia generale intesa in senso stretto e possono presentare una tendenza particolare di un luogo che pure tanto contribuisce nel sovvertimento di uno stato di cose preesistenti. Insomma, la storia di Capitanata inquadrata nella storia del Regno di Napoli prima e d'Italia poi, può offrire tanto materiale allo storico che non limita la sua opera alla sola narrazione di fatti d'arme. Senza dire poi che il periodo precedente alla unificazione normanna offre tanto vasto campo a ricerche. E in questo senso sono purtroppo da sfatarsi alcune leggende che vanno sulle bocche di tutti, proprio come un fenomeno della nostra regione: ad esempio, il brigantaggio il quale va esaminato non come attività delinquenziale di un'accozzaglia di gente avida solo di sangue e di rapina, ma come fattore politico su cui tanto affidamento facevano i deposti Borbone. In quell'epoca, in certo senso, la nostra Capitanata fu la Vandea francese, meno organizzata si, ma così molesta al nuovo governo costituito, che si vide costretto a far uso di truppe belle e buone. E' una storia alla rovescia di quella fatta finora: ormai il fine politico è stato raggiunto da tanto tempo; il dire la verità non nuocerà più ad alcuno. Nel nostro meridione poi, come del resto in tutta l'Italia, ogni regione, ogni provincia, e diciamolo pure, ogni città e piccolo borgo anche sperduto nel piano del Tavoliere o sulle Murge e sul Gargano, lungo le coste, ha vissuto e vive una vita propria, ha una tradizione che si perpetua, una storia che continua con una fisionomia particolare; ha un carattere e delle qualità che i secoli non varranno a distruggere. E di tutte queste cose, che costituiscono la storia di un paese qualsiasi o di una regione anche nella sua particolare posizione geografica, si è gelosi custodi, e si tien costantemente vivo il ricordo nel presente come nei monumenti del passato. Non intendiamo con ciò sostenere che, trattando la storia delle singole regioni italiane e magari di ogni comune, si deve spezzettare la storia d'Italia in tanti futili e inutili campanilismi. E' necessario, con un certo discernimento e tralasciando particolari ingombranti, partire dall'analisi per sintetizzare in un momento successivo. Si potrà allora, valutate le forze, assegnare ad una regione il posto che veramente occupa nella successione storica, nelle varie forme dell'attività del pensiero (economico, culturale, scientifico, artistico) e in tutte le altre molteplici attività dell'umanità. Come hanno scritto la storia di Capitanata tutti quelli che se ne sono occupati? L'indirizzo in uso dal Settecento in poi non ebbe sostanziali differenze nel secolo scorso e dei tempi moderni mancano trattazioni secondo le nuove tendenze e i nuovi criteri. Non vogliamo asserire con ciò che tanta produzione storica, di cui sono ricche ormai le sole biblioteche, sia un materiale e un fardello del tutto inutile e di cui si possa facilmente fare a meno. Chi deve fare la storia secondo i principi oggi in vigore, basandosi cioè su di una rigorosa dimostrazione scientifica, deve innanzitutto conoscere quello che si è detto e scritto, per avvalorarlo, se può darne le prove, o demolirlo se può dare alla luce documenti in disaccordo, o semplicemente accettarlo come riferito da altri. E' necessario aver presente che ogni opera, per quanto elaborata con criteri sorpassati e inadatti rispetto alla nostra epoca, porta sempre il suo contributo che dev'essere appunto vagliato nei suoi giusti limiti. Alcuni periodi o istituzioni presso di noi sono stati oggetto di maggiore attenzione da parte degli storiografi mentre se ne sono trascurati altri. Per esempio, quanti hanno scritto sulla Regia Dogana? Ma sconsiderato colui che intendesse ora riproporre quella istituzione che tanti benefizi produsse e tuttavia fu anche causa del nostro malessere quando servì unicamente a impinguare le casse dello Stato! Si potrebbe basare solo su quanto hanno riferito altri o fondarsi sui documenti da loro editi, sfrondandoli da quella passione di parte? Di questa grande istituzione noi abbiamo avuto due specie di scrittori: quelli, in maggioranza funzionari fedelissimi, che ne hanno detto tutto il bene, e dall'altra parte, quelli che vivendo fuori della cerchia stretta, predicando nuovi tempi e l'abbattimento totale del passato, ne hanno rimarcato tutto il male.
* * *
Ma, in tanta messe da cui si potrebbe cogliere abbondantemente, la produzione storica della nostra Capitanata ha una grandissima deficienza: mancano le pubblicazioni diplomatiche. Tolto quello che si può racimolare nelle grandi opere di carattere più generale, come diplomi imperiali e bolle pontificie, per le quali si ha da ricorrere ai tedeschi, e qualche altra pubblicazione, non si hanno Codici. Per la Capitanata insomma non si è fatto quello che pur tanto felicemente si sta facendo a Bari da oltre un trentennio; e l'esempio della consorella vicina, per Foggia, doveva essere di sprone, d'incitamento, di guida, d'indirizzo alla nostra storiografia. Qui, invece, si è sempre pensato a far la storia col proprio discernimento, con un certo buon gusto magari, ma essenzialmente con la passione, con l'amore al natio luogo. O se hanno fatto qualcosa, come a Lucera con la pubblicazione del codice diplomatico lucerino, per Troia è insufficiente, si dovrebbe fare molto, ma molto di più (poco veramente di quella ricca miniera di documenti è stato dato alla luce e solo grazie all’iniziativa della Deputazione barese). Il lavoro poi andrebbe coordinato giacché non è impresa di un solo individuo anche a volersi dedicare anima e corpo. Non è vero che le fonti e i documenti da ricercare mancano (gli storici se la cavano sostenendo che non possono dire altro per mancanza di prove e si limitano a riportare la tradizione o le proprie vedute). Non si è fatto essenzialmente il lavoro di pazienti ricerche, di sistematiche indagini prima di gridare ai quattro venti che gli archivi andarono distrutti e nulla rimane. E' vero purtroppo che con la soppressione dei monasteri scomparve molto materiale storico. Noi non avemmo un Leopoldo, come la Toscana, che, con grande accortezza, già prima della rivoluzione francese aveva provveduto a ritirare dai monasteri tutte le pergamene. Ma per quel poco che rimaneva, doveva venire il Kehr e lo Schiaparelli, a dirci tante cose sul nostro materiale archivistico, come del resto hanno fatto per tutta l'Italia, e per tutto il mondo cattolico. Vero è che tanti storici locali raramente sono usciti dal natio borgo e non hanno allargato il proprio orizzonte con lo scrutare altrove. Non si poteva trovare in un luogo la documentazione di un fatto e si dava senz'altro per inesistente. Tanti buoni canonici (per un certo tempo la storia della nostra regione è stato un monopolio chiesastico) che hanno scritto di storia foggiana non si sono neppure preoccupati di sfruttare adeguatamente il copioso materiale che pur avevano a propria disposizione e a portata di mano. E disgraziatamente quello che potevano vedere loro non lo possiamo noi perché ormai non esiste più, trafugato o disperso o bruciato. Cosi facendo hanno spesso copiato l'uno dall'altro, poco aggiungendo di nuovo: si sono serviti delle stesse fonti, non sapendo uscire da quella cerchia angusta. Di modo che noi non abbiamo riportati, e spesso male, che gli stessi documenti. E hanno fatto questo anche storici che vanno per la maggiore. Non vogliamo di proposito citare nomi per evitare dispiaceri e inutili polemiche (non mancano di quelli che alle vecchie storie rimangono attaccati fedelmente e guai a toccargliele): il nostro articolo non ha questo scopo. Ci auguriamo che chi ha voglia di mettersi in questo campo della storia vada per la retta via ed eviti inutili lungaggini e ripetizioni. Ci dia in fine essenzialmente del nuovo sotto tutti gli aspetti. Siamo però lieti di poter notare che il Comune di Foggia sta facendo qualcosa con la pubblicazione di monografie e studi particolari riguardanti illustri personaggi o momenti storici di rilevante interesse. Si dovrebbe ancora pensare ad altro e corredare quella collana di documenti. I lavori di sintesi, quali sono appunto quelli finora editi, non è il caso di tentarli con vera coscienza. E' necessario anzitutto preparare il materiale agli storici e questi non potranno atteggiarsi a tali se non hanno gli elementi da cui prendere le mosse, partire. Con sforzi, si va scartabellando di qua e di là, randagi, mentre si potrebbero avere fonti edite. Alcuni hanno mostrato di avere delle buone disposizioni e soprattutto delle buone intenzioni. Sono nobili esempi in tanta confusione, Beccia, Papa, Biagi e gli altri della collana foggiana, i quali mostrano di aver assimilato con diligenza e scrupolo l'indirizzo storico proprio dell'epoca che attraversiamo: non hanno che da proseguire e intensificare le ricerche, sebbene hanno fatto opera più di storici e non di preparatori alla storia. Essi intendono la storia con un criterio che non è il sorpassato e il superato: vanno guardinghi nelle affermazioni e dicono cose che non possono essere smentite. Ebbene ciò è un gran passo nella storiografia di Capitanata 2.
1 Cfr. Scritti vari: Giovanni da Procida e i Vespri Siciliani, p. 114. (N. del c.)
2 Cfr. Storia e storici della Capitanata, in Il Popolo Nuovo del 28 marzo 1932.(N. del c.)
|