Il libro di Luciano Violante - Il dovere di avere doveri - è di altissimo valore teorico. Dovendo partecipare alla sua presentazione mi son chiesto se sarebbe stato più facile parlare de "Il diritto di avere diritti" (Laterza 2012) di Stefano Rodotà pubblicato un paio di anni fa, o de "Il dovere di avere doveri " scritto da Violante per Einaudi. Credo di non avere sbagliato concludendo che è più difficile il secondo: il primo ha un "fascino seduttivo", come ogni rivendicazione che investe la parte più disagiata di larghe masse alle quali è difficile resistere: specie quando quasi mai vengono quantificai i costi, le compatibilità, le fonti di finanziamento per la finanza pubblica. "Il dovere di avere doveri", se da un lato si sottrae alle sollecitazioni retoriche e moraleggianti ma riconduce al senso dello Stato e alle responsabilità individuali e collettive, dall'altro è condotto sul terreno della concretezza, assai spesso riuscendo ad individuare fonti di risparmio di spesa pubblica ma anche di costo del lavoro. Il pensiero di Violante si richiama ai grandi valori della democrazia, dell'eguaglianza, unità politica nazionale, richiama l'Etica repubblicana secondo il rigore delle regole costituzionali, ma soprattutto dei comportamenti quotidiani. Con il richiamo costante che "spetta innanzitutto alle istituzioni pubbliche mettere in pratica la politica dei doveri". Il libro affronta innanzitutto la questione del "diritti", nella loro "evangelica semplicità", nei risvolti positivi ma anche dei rischi: fra i quali quello del trasferimento della loro tutela dalla "politica ai giudici governanti" con il rischio, ammonisce l'Autore, che... "da questa evangelica semplicità possa nascere la spoliticizzazione della democrazia e il suo affidamento a corporazioni tecnocratiche (i giudici) con grandi poteri sulla vita dei cittadini e delle pubbliche amministrazioni, ma prive di responsabilità sia verso i primi che verso le seconde" La spoliticizzazione della democrazia, invece, porta tre conseguenze: demagogia, tecnocrazia, immoralismo ovvero la tendenza ad accusare di immoralità l'avversario pur di liberarsene, al populismo e al leaderismo che non sarebbero il meglio per la Democrazia. Il grande pregio del libro - che non è facile ma che mi permetterei di consigliare - è la sua cifra rigorosa di dottrina costituzionale e di filosofia politica, senza trascurare i temi della contemporaneità. Insomma, quasi un breviario da conservare sul comodino. Un avvocato lo conserverebbe per le sue memorie difensive davanti le magistrature superiori. Il comune cittadino vi trova l'occasione per una rivivificazione della sua coscienza democratica. I giovani dovrebbero approfondirlo e tenerne l'insegnamento come punto di riferimento teorico nella loro quotidianità, quando prenderanno coscienza che toccherà a loro dirigere questa società. Personalmente vi ho anche trovato la completa rivisitazione del pensiero dell'A. come lo abbiamo conosciuto - o come il conflitto, "la guerra civile a sinistra" ce lo aveva rappresentato - negli anni '90 del secolo scorso, intorno al ruolo della giurisdizione, oggi vista con i suoi rischi di forte limitazione della Democrazia e della universalità tanto dei diritti che dei doveri, e che allora, quando Luciano Violante da Magistrato passa al Parlamento, nell'immaginario politico venne vissuto come il teorico del "giustizialismo", sostenitore del teorema della "via giudiziaria al socialismo".
Vorrei citare alcune affermazioni testuali di Violante che a mio giudizio racchiudono il senso compiuto del suo pensiero. " I diritti hanno bisogno dei doveri per vivere. Una democrazia non vive solo di diritti e di giudici volenterosi. Vive anche di adempimento dei doveri .....chi è incaricato di funzioni pubbliche esercitando i propri poteri alla luce dei propri doveri rende degne di fiducia la politica e le pubbliche amministrazioni. Le istituzioni pubbliche piegate all'interesse particolare e dalla tendenza alla spettacolarizzazione per acquisire visibilità (e consensi individuali) cessano di essere il luogo del confronto per la decisione ed intanto il palcoscenico dei vizi della nazione. Proviamo a immaginare quel che avviene quando il Potere si trasforma in Paura di Firma. Perché in Italia si blocca tutto appena è chiamata in causa? Perché è inefficiente? Perché i ritardi sono funzionali a far lievitare i fenomeni della corruzione e della concussione? Perché ci sono troppi ‘fannulloni’? Sono tutte concause di volta in volta verificabili, come ha spesso messo in luce l’attività degli organi inquirenti. L'elemento importante, trascurato dal dibattito è il potere di firma del funzionario pubblico e le sue conseguenze. Nella nostra macchina amministrativa chi cerca la tranquillità ha davanti un’opzione chiara, comoda, scacciapensieri: non firmare niente! È la verifica del "policentrismo anarchico" che assieme alla"partecipazione oppositiva" di cui parla Violante, è il mezzo di contrasto per la costruzione dell'ordine costituzionale. Chi decide (ad esempio, firmando autorizzazioni), si assume il rischio di essere accusato di abusi di ufficio dalla magistratura. Chi non muove foglia, non teme sanzioni di sorta. Ma così non si va da nessuna parte.
L'Autore si pone il problema del che fare e a chi tocca, non mancando di segnalare la facilità e comodità ai fini del consenso di rivendicare diritti rispetto all'esigere DOVERI. Ho trovato molto interessante e coraggioso il capitolo dedicato al tema della "divisivitá" in politica che ha connotato la seconda metà del novecento, e l'analisi su "avversario e nemico", che si spinge fino alla costruzione della sua indegnità morale, che si può sintetizzare in questa affermazione testuale: "In tempi di divisione il dialogo con l'avversario è assimilato al tradimento - invece chi dialoga con l'avversario intende trovare maggiori fondamenti alle proprie ragioni e capire fino in fondo." Il capitolo dedicato al partito, da ricostruire ma non più solo come organizzazione ma costruttore di una nuova visione del mondo, è davvero fra le pagine più interessanti del libro. I partiti politici vanno ricostruiti ma su base completamente rinnovata. La contrapposizione "capitale - lavoro", che fu la motivazione prevalente che dette vita alla costruzione dei partiti, oggi va sostituita con l'altra: "lavori-rendite parassitarie" (evasione fiscale, speculazioni finanziarie, corruzione, clientelismo), in pratica le nuove fonti attraverso le quali crescono le disuguaglianze. Il partito moderno si costruisce attorno a questo conflitto e a nuovi rapporti con il mondo della cultura; con una forte organizzazione, giacché il "partito liquido", afferma testualmente Violante, è solo "servile" e funzionale al nuovo rapporto del leader che si cerca un partito piuttosto del partito che forma, prepara e legittima dal basso il suo leader.
Penserei che il PD, che è il più grande (ormai forse l'unico) partito degno del nome, debba porre il contenuto di questo libro al centro di un grande progetto che coinvolga innanzitutto i suoi militanti impegnati nelle agenzie collettive, a cominciare dalla scuola, per una inversione di tendenza, in particolare nei giovani, verso la priorità del dovere come la forma più elevata di partecipazione ai progetti di cambiamento individuali e collettivi.
Concludendo, nel richiamare l'affermazione di Aldo Moro dal discorso del 28 febb. '78 alla Assemblea dei Deputati e Senatori DC in vista del Governo con il Pci, passata alla storia come suo testamento politico, “questo Paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere" che integrata con il pensiero testuale di Violante "perché una democrazia senza doveri resta in balia di egoismi individuali e conflitti istituzionali ed è priva dei valori della solidarietà e dell'unitá politica, capisaldi di qualunque forma democratica di governo",penso realizzi la migliore definizione di una società che voglia salvaguardare e concretizzare le sue aspirazioni alla democrazia e all'uguaglianza.
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