Una decina di anni fa, il Centro Ricerche avviava il progetto di ricerca sulla pietà popolare, con l’obiettivo di operare il censimento, il rilevamento fotografico e la schedatura delle edicole religiose di Conversano e del suo territorio. La finalità era quella di svolgere opera di sensibilizzazione, di richiamare l’attenzione della comunità urbana e degli amministratori su questo ricco patrimonio “diffuso” storico-culturale, religioso, folklorico e demo antropologico (parte viva di un tessuto storico articolato in un intreccio assai complesso e densamente sedimentato), che andava salvaguardato, recuperato e conservato per le future generazioni 1. Il fenomeno della presenza di edicole sacre nei centri storici di tante città italiane (per il nostro Mezzogiorno penso in particolare a Napoli, Palermo, Benevento e, più specificamente per la Puglia, a Bari, Taranto, Martina Franca, Brindisi, Fasano, Lecce, Altamura, San Severo, Monte S. Angelo, ecc.) sembra avere origini remotissime in pratiche di culto ancora più antiche di quelle cristiane: il culto romano dei Lari, divinità anonime e collettive, protettrici della familia e della gens, delle vie e del territorio abitato dalla comunità, «venerati nei lararia, tempietti (sacella) o vere e proprie aediculae, poste, privatamente, nel vestibolo delle abitazioni o presso il focolare, oppure, in pubblico, là dove le vie si incrociavano…»2. L’iconografia delle edicole conversanesi rinvia, da un lato, alla pratica di culti molto diffusi in Puglia in età medievale, per lo più di origine orientale, come ad esempio quello di san Michele Arcangelo 3. o dell’Odegitria 4., cioè di Maria Santissima di Costantinopoli, attestazione preziosa, quest’ultima, degli influssi bizantini sulla Terra di Bari. In particolare, testimonianze per lo più sotto forma di manufatti lapidei dell’antico culto ‘aereo’ di san Michele Arcangelo, associato sin dall’Altomedioevo a luoghi elevati (si pensi al famoso santuario di Monte Sant’Angelo sul Gargano), si rinvengono nel ‘cuore’ del centro antico di Conversano, nella zona in cui sorgono alcuni degli edifici monumentali più rappresentativi della città (castello, cattedrale, monastero di san Benedetto, il famoso monstrum Apuliae). Penso all’altorilievo di S. Michele Arcangelo murato originariamente sulla Porta della città, detta “de lo castello”, prospiciente il Largo della Corte, fatta demolire dal sindaco Nicola Lenti nel 1829, perché «pericolante», poi subito ricollocato, in alto, sullo spigolo nord-est di un’abitazione (l’attuale casa Salzo), allocata nei pressi della diruta Porta urbica; o al rilievo policromo collocato in alto sul paramento murario esterno dell’ex Palazzo Antonelli in via Martucci; o ancora alla statuetta collocata sul prospetto principale di una casa in via Neviera n. 7; o infine al dipinto murale posto sull’antico ingresso del refettorio di S. Benedetto, addossato al lato sud dell’antico chiostro medievale. La dislocazione in posizione elevata delle raffigurazioni dell’Arcangelo Michele sotto i cornicioni del tetto delle abitazioni, sui paramenti murari, sugli architravi delle porte delle case o di edifici sacri o sulle porte urbiche è un dato riscontrabile in tanti antichi centri del nostro Mezzogiorno. Tale usanza, che è stata messa in relazione con la tendenza a porre sotto la tutela del Santo le strutture murarie degli edifici5.,è riconducibile anche alla comune convinzione che i santi, tutti i santi, al di là delle loro specificità taumaturgiche, costituissero un baluardo efficace contro le catastrofi naturali (epidemie, pestilenze, terremoti, ecc.) e facessero indietreggiare con la loro presenza il male in tutte le sue forme 6. Dall’altro lato, l’iconografia delle edicole religiose conversanesi rinvia, in maniera più estesa, a culti diffusisi nei secoli XVI, XVII e XVIII: la città, accresciuta grazie alle nuove addizioni urbanistiche di Casalvecchio e di Casalnuovo, si arricchì di edicole, i cui soggetti spesso si collegavano ai programmi pastorali postridentini del clero e degli ordini religiosi di nuova istituzione 7.,alla politica ‘religiosa’ degli Acquaviva d’Aragona, la famiglia feudale che dominava la città (a cui, ad esempio, nella seconda metà del ‘500 è riconducibile lo sviluppo della devozione mariana del Rosario 8., e nel ‘600, «l’improvvisa rifioritura del culto dei santi anàrgiri Cosma e Damiano») 9., e alle iniziative festive e cultuali delle Confraternite e di monasteri di antica fondazione 10. Nelle edicole religiose di Conversano, il culto devozionale maggiormente attestato è quello mariano, con un ricchissima serie di Madonne con Bambino, ben 14 immagini a stampa della Madonna della Fonte, riconosciuta nel Novecento patrona della città, e raffigurazioni della Madonna del Carmine, delle Grazie, dei Miracoli, del Rosario, del Soccorso, di Lourdes, della Vergine Annunziata, dell’Immacolata Concezione, dellaRegina Martirum. Altrettanto variegata è la schiera dei santi nei manufatti repertoriati: gli Arcangeli Michele e Gabriele, san Giorgio, san Pietro, san Benedetto, i santi Cosma e Damiano, san Cristoforo, san Giuseppe, san Leonardo, san Vito, santa Caterina d’Alessandria, sant’Antonio da Padova, san Francesco da Paola, san Nicola di Bari, santa Lucia, santa Rita da Cascia, san Gregorio Magno, sant’Oronzo, sant’Antonio Abate, san Luigi Gonzaga, san Donato, san Rocco, san Francesco, san Diego, san Tommaso d’Aquino) e alcuni momenti del ciclo cristologico (la Crocifissione, il Compianto di Cristo morto, la Passione, la Pietà, il Sacro Cuore di Gesù, Cristo deposto). A questa ricca ed eterogenea schiera di immagini di Vergini e di Santi, dislocate strategicamente sulle pareti di edifici sacri, in importanti arterie, stretti vicoli, crocicchi, slarghi, ma anche in angoli più riposti, a metà tra pubblico e privato, come archi, scalinate, atri, cortili, pianerottoli…, o anche in aperta campagna, il più delle volte alla confluenza di vie o sentieri, i cittadini conversanesi hanno riconosciuto nei secoli una duplice valenza cultuale e protettiva, assegnando loro il compito di tutelare e, all’occorrenza, salvare la propria vita, quella dei membri della propria famiglia e/o dell’intera collettività urbana, e di salvaguardare gli animali e i raccolti contro la siccità o le calamità naturali, contro l’invasione degli insetti, contro le malattie delle piante. Questa “diffusa” presenza di immagini sacre nello spazio urbano ed extraurbano e il concentrato tesoro di reliquie 11 custodito nelle numerose chiese tendevano ad assicurare protezione alla città e ai suoi abitanti, a cristianizzare lo spazio rendendolo inviolabile. Inoltre, come il culto dei santi venerati nelle chiese locali (in particolare quello del santo patrono) diventava elemento fondante dell’identità urbana 12 e dei singoli quartieri o contrade in cui era divisa la città 13, così il culto devozionale delle edicole religiose poteva diventare elemento identificativo di parti più ristrette delle suddette circoscrizioni topografiche, cioè di uno spazio umano ancora più parcellizzato. Questi oggetti di culto, divenendo poli di aggregazione religiosa e sociale per gli abitanti del circondario, venivano curati e abbelliti di lumini, fiori, pizzi dagli stessi residenti che, in occasione delle ricorrenze religiose, organizzavano anche festeggiamenti e processioni in loro onore. Nel volume, che offre anche una ricca serie di indicazioni storico-bibliografiche, ogni immagine sacra, anche se non particolarmente antica o di pregio, è analizzata in una scheda che ne indica l’ubicazione, i materiali e le tecniche esecutive, l’epoca di realizzazione, l’autore e/o l’ambito culturale cui si riferisce; molto spazio, inoltre, è riservato sia alla descrizione iconografica (schema della composizione, soggetto/i e attributi specifici) sia alla vita e al culto dei Santi presenti, dei quali spesso sono evidenziate le specificità taumaturgiche. In complesso, sono state rilevate e schedate ben 119 edicole piene, 14 edicole vuote, in quanto da esse (nicchia, cornice, vano aperto o chiuso, … ) è stata asportata l’immagine sacra (dipinto, stampa o statuetta che fosse), e 5 edicole ormai “scomparse”, cioè andate distrutte; dati questi che ci inducono a rivolgere in varie direzioni - Regione, Provincia, ma soprattutto Amministrazione Comunale - un appello affinché sia salvato il salvabile. Ci auguriamo che, alla faticosa e lenta messa a punto, operata dal Centro Ricerche, dell’apparato conoscitivo del patrimonio delle edicole religiose di Conversano, possa seguire l’avvio di un’attività sistematica di tutela e restauro dello stesso; una improcrastinabile opera di restauro e/o manutenzione non solo delle edicole danneggiate spesso dagli interventi dell’uomo, che ha frequentemente occultato testimonianze più antiche sotto più recenti ridipinture o scialbi di calce, ma soprattutto il recupero delle sempre più frammentarie e /o corrose e sempre meno leggibili testimonianze devozionali delle cappelle rurali, degradate dalle intemperie e dall’incuria e che, a causa di questo loro pessimo stato di conservazione, sembrano ormai destinate a scomparire. Ci auguriamo, inoltre, che questa iniziativa vada inserita in un piano generale di recupero, valorizzazione e rivitalizzazione del centro storico e dei beni culturali disseminati nel territorio di Conversano. Il volume, che vuol essere un contributo alla ricerca delle radici di una città del Mezzogiorno italiano, si propone come un invito, alla collettività conversanese, a riscoprire e a rileggere le tracce della sua storia e, in modo particolare, si rivolge al mondo della scuola, affinché educhi le nuove generazioni a riconoscere l’incomparabile valenza culturale e sociale di questi manufatti, cioè di questo insieme articolato di ‘segni’, con i loro caratteri identitari di storia, con i segni di vita che trasmettono, con i percorsi o itinerari, anche conoscitivi, che suggeriscono.
1 Colgo l’occasione per ringraziare: i tanti ‘operatori ‘del Centro Ricerche che hanno eseguito il censimento dei manufatti devozionali, e in modo particolare l’arch. Flavio Palazzo per le energie e il tempo spesi nella revisione dello stesso; i curatori per l’impegno profuso nella cura del volume; la prof.ssa Valeria Nardulli per aver scritto, con la redazione delle schede in catalogo, una interessante pagina di storia, inedita. Un ringraziamento speciale va, inoltre, sia alla Banca di Credito Cooperativo di Conversano, nelle persone del Presidente Giuseppe D’Orazio e del Direttore generale Donato Venerito, per aver sostenuto la pubblicazione, sia all’editore Mario Congedo, per il pregevole risultato editoriale. 2 Cfr. D. Lassandro, Dai tempietti pagani dei Lari alle edicole dei «santi di strada», inSanti di strada. Le edicole religiose della città vecchia di Bari, Itinerario 4 Rua Francigena, a cura di Nicola Cortone e Nino Lavermicocca, Bari 2003, pp. 3-7 (la citazione è tratta da p. 6). Su questa tematica cfr. anche N. Cortone, Le edicole votive: origini, storia e significato, in Santi di strada. Le edicole religiose della città vecchia di Bari, Itinerario 1 Strada Santa Maria, a cura di Nicola Cortone e Nino Lavermicocca, Bari 2001, pp. 12-14. Cfr. anche G. Otranto, Presentazione, in A. Gravina, S. Del Carretto, Le edicole devozionali in San Severo, San Severo1988, p. II; e AA.VV., Vicoli e santi, Bari 1982, pp. 12-14. 3 Sull’antico culto micaelico cfr. Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda Antichità e Medioevo, a cura di C. Carletti e Giorgio Otranto, Bari 1994, eLa Montagna sacra. San Michele, Monte Sant’Angelo, il Gargano, a cura di Giovanni Battista Bronzini, prefaz. di Cosimo Damiano Fonseca, Manduria 1991. 4 L’icona di Santa Maria di Costantinopoli, o della Beata Vergine della Fonte, venerata nella cattedrale di Conversano, che una tradizione leggendaria fa risalire al secolo V, è ascrivibile invece al XIII-XIV secolo (cfr. A. Fanelli, Cronotassi episcopale della Chiesa di Conversano. Note biobibliografiche, iconografiche, araldiche e documenti archivistici inediti, vol. I: la protostoria, Galatina 1987, pp. 136-138; e la scheda di M. Milella Lovecchio, Madonna con Bambino (Madonna della Fonte), in Icone di Puglia e Basilicata dal Medioevo al Settecento, a cura di Pina Belli D’Elia, Milano 1988, n. 19, pp. 117-118. 5 Cfr., infra, nel Catalogo, le schede nn. 1, 35, 65 e 20. 6 Sulla convinzione che i santi costituissero un baluardo efficace contro le catastrofi naturali e facessero indietreggiare con la loro presenza il male in tutte le sue forme, cfr. A. Vauchez, La santità nel Medioevo, trad. it. di Alfonso Prandi, Bologna 1989, pp. 470-471. 7 Sull’arte e la religiosità popolare in età postridentina, cfr. M. Basile Bonsante,Immagini di chiesa, immagini di strada: modelli e luoghi della pittura religiosa nel centro storico di Bari, in Santi di strada. Le edicole religiose della città vecchia di Bari, Itinerario 3 Via dei Mercanti, a cura di Nicola Cortone e Nino Lavermicocca, Bari 2002, pp. 3-17. 8 Cfr. infra la nota 10. 9 Il culto orientale dei SS. Cosma e Damiano, diffuso in Occidente sin dal secolo V (cfr. F. Caraffa, s. v. Cosma e Damiano, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1964, vol. IV, coll. 223-225), è documentato con certezza a Conversano già nella seconda metà del ‘400: in alcuni atti notarili viene, infatti, citata una chiesetta rurale dedicata ai due santi, sita nella contrada Sanctorum Cosme et Damiani; chiesetta extraurbana che, per buona parte del secolo successivo, versò in una condizione di forte degrado, cultuale ed edilizio, tanto da indurre il conte Adriano Acquaviva d’Aragona (1579-1607) ad avanzare al vescovo della città la richiesta della concessione del patronato comitale, ottenuto il 9 novembre 1581. Nella prima metà del Seicento, il suddetto patronato pervenne al nipote di Adriano, Giangirolamo II Acquaviva, il famoso Guercio delle Puglie, e a sua moglie Isabella Filomarino, che furono i munifici committenti della nuova chiesa urbana e dell’annesso monastero dedicato ai santi anàrgiri. Secondo il Fanelli, i coniugi furono spinti da un input spirituale ma anche «da un motivo contingente, forse legato a un episodio di salute precaria di qualcuno dei componenti della famiglia o presumibilmente alla gestazione della maternità, tanto che al primogenito fu imposto il nome inconsueto di Cosimo (1627-1665) che non aveva riscontro nell’onomastica del precedente albero genealogico, né lo si riscontrerà in seguito»: A. Fanelli, Cultura economia e religiosità a Conversano nel Seicento. Per una lettura storica e iconografica del monastero e della chiesa dei SS. Cosma e Damiano, (Collana Crescamus, 2), Conversano 2004, pp. 3-7. Non dobbiamo dimenticare che l’esercizio del potere signorile acquaviviano fu nei secoli strettamente legato all’esistenza di una corte nei propri domini provinciali; corte che fu il centro propulsore di un’attiva e qualificante politica di mecenatismo e dipatronage artistico, letterario e musicale, attirando flussi di risorse economiche e finanziarie non solo sulle residenze del lignaggio (il castello, il palazzo nella capitale e/o il palazzo baronale) che venivano potenziate e abbellite, ma anche nella costruzione di sepolcri ed edifici religiosi (chiese e monasteri) ornati dagli scudi araldici, manufatti capaci di materializzare la memoria degli avi e di simboleggiare il prestigio della famiglia. Testimonianze singolari, in catalogo, della diffusione del culto dei Santi Medici nei secoli XVII-XVIII sono l’affresco, della prima metà del ‘600, che li ritrae in grandi dimensioni nella volta della galleria d’accesso alle ex scuderie del castello di Conversano; essi appaiono contornati sui due lati lunghi da scene raffiguranti i sollazzi, specie venatori, della corte conversanese (Cfr., infra, Catalogo, scheda n. 22) e lo stendardo ricamato e dipinto, datato 1751, conservato nella sagrestia del monastero dei SS. Cosma e Damiano, che li raffigura rispettivamente sul recto e sul verso del manufatto serico, frontalmente a figura intera, con ai piedi una diversa veduta della città di Conversano e due iscrizioni che enfatizzano la loro funzione di protettori del centro urbano (cfr., infra, Catalogo, scheda n. 31). 10 Ad alcune badesse del monastero di S. Benedetto, esponenti del lignaggio acquaviviano, in un periodo in cui appare più incisivo e profondo lo sforzo degli Acquaviva di rafforzare ed estendere il controllo sugli istituti religiosi cittadini, in modo particolare su quelli femminili, in cui monacavano le loro donne, è riconducibile sia l’istituzione della festa liturgica e della processione beneficiale della Madonna del SS. Rosario, alla quale fu dedicata nella chiesa monastica la pala d’altare realizzata nella seconda metà del Cinquecento da Michele Damasceno, sia l’istituzione nel 1572 dell’omonima confraternita (Cfr. A. Fanelli, Feste e processioni a Conversano nel ‘700. Agiografia illustrata (Collana Crescamus, 8), Conversano 2007, pp. 21-22; e V. L’Abbate, Le confraternite di Conversano al tempo della peste 1690, in Storia e cultura, IV, pp. 110-112). Con tutte queste iniziative le dominaevelate acquaviviane intendevano anche celebrare la gloria militare della loro casata, alcuni membri della quale avevano partecipato in prima persona alle imprese militari dei sovrani cattolici nella lotta antiturca nel Mediterraneo: il capostipite del ramo conversanese del lignaggio, Giulio Antonio Acquaviva d’Aragona, era morto nel 1481 eroicamente ad Otranto combattendo contro i Turchi, e Giangirolamo I (decimo duca d’Atri e conte di Conversano) aveva combattuto, con i figli Orazio ed Adriano, come generale nella battaglia di Lepanto, il 7 ottobre 1571. Poiché la vittoria cristiana sulla flotta ottomana fu attribuita dal domenicano Antonio Michele Ghislieri (papa Pio V) «più all’arma della preghiera del Rosario che alla potenza dei cannoni», dopo Lepanto, «il grande sviluppo della devozione mariana del Rosario fu dovuto in modo particolare all’ordine dei Domenicani e alla istituzione delle Confraternite del Rosario»: N. Cortone, Il culto mariano del «Rosario»e la sua diffusione, in Santi di strada. Le edicole religiose della città vecchia di Bari, Itinerario 2 Via delle crociate, a cura di Nicola Cortone e Nino Lavermicocca, Bari 2002, pp. 103-107, 105. In un documento notarile, datato 10 ottobre 1633, Caterina Acquaviva, badessa del monastero di S. Benedetto, costituiva un capitale di 180 ducati per solennizzare alcune festività, destinando specificamente 40 ducati a quella della Madonna della Vittoria, cioè del SS. Rosario, nella prima domenica di ottobre. Ancora, in un altro atto, rogato dal notaio Francesco Antonio Giuliani il 9 ottobre 1660, i conti Giangirolamo II e Isabella Filomarino fondavano un beneficio (di 190 ducati) del SS. Rosario, «con l’obbligo di vespri e messa in canto durante l’ottava della festa nella chiesa di S. Benedetto» [cfr. Fanelli, Feste e processioni a Conversano cit., pp. 58, nota 174; 15 e 60. Più in generale, sui valori e le strategie familiari del lignaggio Acquaviva D’Aragona, cfr. C. Lavarra, Premessa. Gli Acquaviva d’Aragona tra Medioevo e prima età moderna. Valori, strategie familiari, ‘tenuta del potere feudale’, in Stato e baronaggio, cultura e società nel Mezzogiorno: la Casa Acquaviva nella crisi del Seicento (Atti del III Convegno di Studi su La casa Acquaviva d’Atri e di Conversano, Napoli-Conversano-Alberobello, 26-28 ottobre 2000), a cura di Caterina Lavarra, Congedo Editore, Galatina 2008, pp. 1-16]. Al termine dell’epidemia di peste che funestò Conversano negli anni 1690-1692, la Madonna del SS. Rosario fu dichiarata protettrice del centro urbano: cfr. G. A. Tarsia Morisco, Memorie storiche della città di Conversano, sotto la direzione e con note di Sante Simone, Conversano 1881, p. 174. 11 Sull’importanza della concentrazione delle reliquie per dare più valore alla sacralità di un luogo cfr. T. Gregory, Lo spazio come geografia del sacro nel’Occidente altomedievale, in Uomo e spazio nell’Alto Medioevo (Atti della L Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, Spoleto, 4-8 aprile 2002), t. I, Spoleto 2003, pp. 27-60, 46. 12 Le valenze di autorappresentazione e di identificazione cittadina del culto dei santi, in particolare di quello del santo patrono, sono state messe in luce da numerose ricerche: H.C. Peyer, Stadt und Stadtpatron in mittelalterlichen Italien, Zurich 1955; Orselli, L’idea e il culto del santo patrono cittadino nella letteratura latina cristiana, Bologna 1965 (rist.: in Ead., L’immaginario religioso della città medievale, Ravenna 1985, pp. 3-182); P. Golinelli, Culto dei santi e vita cittadina a Reggio Emilia, sec. IX-XII, Modena 1980; Id., Città e culto dei santi nel medioevo italiano, Bologna 1996. Più in generale, sulla coscienza cittadina e il culto dei santi cfr AA.VV., La città e il sacro, a cura di F. Cardini, Milano 1994; De Matteis M. C.,Societas christiana e funzionalità ideologica della città in Italia: linee di uno sviluppo, in Le città in Italia e in Germania nel Medioevo: cultura, istituzioni, vita religiosa, Bologna 1981, pp. 13-49; Fasoli G., La coscienza civica nelle «Laudes Civitatum», inLa coscienza cittadina nei Comuni italiani del Duecento (Atti del convegno del Centro di Studi sulla Spiritualità Medievale, XI), Todi 1972, pp. 11-44 (rist.: in Scritti di storia medievale, a cura di F. Bocchi, A. Carile, A.I. Pini, Bologna 1974, pp. 293-318); G. Tognetti, La religione civica nell’Italia comunale. Primi elementi per un’indagine, in «La cultura», 22 (1984), pp. 101-127 e A. Vauchez, Patronage des saints et religion civique dans l’Italie comunale à la fin du Moyen Age, in Patronage and Public in the Trecento, Firenze 1986, pp. 59-80. Nell’acquisizione e nella custodia delle reliquie e nella solennità dei riti religiosi si esprimeva l’affermazione di una marcata autocoscienza, di una forte autoconsapevolezza cittadina, con manifestazioni che coinvolgevano in primo luogo l’intera collettività urbana. Al riguardo, per il Mezzogiorno d’Italia, cfr. C. Lavarra, Rituali religiosi e spazio urbano nella Benevento del XII secolo, in Ead., La complessità nascosta. Forme di comunicazione nel Mezzogiorno normanno, Modugno (Bari) 2000, pp. 13-41 e G. Vitolo, Città e coscienza cittadina nel Mezzogiorno medievale (secc. IX-XIII), Salerno 1990, p. 13. 13 Uno dei tratti essenziali dell’urbanesimo medievale è lo ‘spezzettamento’ dei centri urbani in cellule sociali più o meno autonome, in circoscrizioni territoriali, in divisioni topografiche che corrispondevano alle porte urbiche e che avevano come centro gravitazionale la chiesa del quartiere o della contrada. In questa società urbana multicentrica, frazionata, turbolenta, che esprimeva valori sociali compositi, l’appartenenza ad una delle circoscrizioni topografiche creava e manteneva solidi e durevoli legami di vicinato. Il fenomeno è stato studiato soprattutto per le città comunali italiane, il cui tessuto parcellare urbano si va palesando come un arcipelago di isole gentilizie, cioè di nuclei insediativi familiari che gravitavano attorno ad una torre o casatorre gentilizia e ad uno spazio interno, la curtis, che immetteva sulla via publica. Al riguardo cfr. J. Heers, Il clan familiare nel Medioevo, Napoli 1976, pp. 175-226; E. Poleggi, Le contrade delle consorterie nobiliari a Genova tra il XII e il XIII secolo, in «Urbanistica», 42-43 (1963), pp. 15-20; G. M. Varanini, Torri e casetorri a Verona in età comunale: assetto urbano e classe dirigente, in Paesaggi urbani dell’Italia padana nei secoli VIII-XIV, Bologna 1988, pp. 185-187. Per il Sud, cfr. Lavarra, Rituali religiosi e spazio urbano nella Benevento del XII secolo cit., ed Ead., Rituali d’accoglienza e spazio urbano nel Mezzogiorno normanno, in Mezzogiorno normanno. Potere, spazio urbano, ritualità, presentaz. di C. D. Fonseca, Galatina (maggio) 2005, pp. 1-50, in cui ho evidenziato come tutte le solidarietà di vicinato e di quartiere si rinserravano in occasione dei riti e dei cerimoniali civici che coinvolgendo l’orgoglio delle varie circoscrizioni topografiche, fornivano alle stesse l’occasione di promuovere la propria bella reputazione, in modo particolare nell’allestimento e nell’addobbamento di macchine di legno ad uso liturgico e nella nobilitazione dello spazio urbano, lungo i percorsi processionali, con l’uso di apparati effimeri e di ornamenti preziosi (drappi e coperte di seta, tappeti multicolori, ghirlande, festoni ed archi di verzura, fiori e frutta, l’uso di turiboli d’oro e d’argento colmi di profumi orientali) che attuavano una transitoria trasformazione visiva e olfattiva dello spazio civico.
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