Di recente abbiamo delineato le caratteristiche con le quali i due condirettori della collana “crescamus” (Angelo Fanelli e Vito Castiglione Minischetti) intendono connotare la fisionomia della loro creatura. Poiché è, ora, a disposizione dei nostri concittadini il terzo numero della fortunata, quanto preziosa iniziativa (per informazioni rivolgersi alla direzione della Biblioteca del nostro Seminario vescovile, numero tel. 080/4959194, e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo., via Paolotti, n. 2) ne approfittiamo per darne conto.
La collana dopo aver dedicato i suoi due primi quaderni ad altrettante notevoli monografie di Angelo Fanelli (“Conversano tra il 1588 e il 1604 nei manoscritti dell’Archivio Segreto Vaticano”, 2003 e, nel 2004, a “Cultura economia e religiosità a Conversano nel ‘600. Per una lettura storica e iconografica del monastero e della chiesa de SS. Cosma e Damiano”) ne dedica il terzo a “L’immagine e la parola. Paolo Finoglio, Torquato Tasso” di Nicola Troiani.
Com’era pur previsto nei programmi, questo quaderno si allontana però da più di una delle direttrici ch’erano state tracciate per caratterizzarle(per un compendio rimandiamo al nostro “Il programma dei quaderni della collana «crescamus»”, in “L’altroFAX”, a. III, n. 41, del 2/3/2005, p. 5).
Il contributo di Troiani, infatti, ci pare non assolva ad uno dei più precipui (e riteniamo irrinunciabili) compiti affidati alla collana. E cioè alla necessità di rivolgersi, in ogni caso, non solo agli addetti ai lavori quanto anche al “lettore comune”. Mentre il saggio di Nicola Troiani, purtroppo, s’inerpica per metafisici viottoli, senza tenere conto - a nostro avviso - che la sua preziosa ricerca doveva essere diretta anche al lettore non specialista di cose d’arte: quindi anche al lettore digiuno, o quasi, di estetica e/o questioni di poetica. Infatti, se un dato risulta lampante, dal dotto e quindi superlativamente colto contributo di Troiani, è che l’erudita disquisizione di Nicola Troiani non si rivolge (dato proprio l’argomento che tratta e poi il modo stesso in cui è esposto) al cosiddetto “lettore comune”.
Nella plaquette infatti si argomenta - in modo sempre informato - di antiche e forse pur sempre attuali querelle. Una delle quali è quella, per l’appunto, di come si debbano o si possano tradurre in immagini (sulle tele) gli stati d’animo verbali (idoleggiati nella poesia). E se poi, inoltre, se debba avere, o se abbia di fatto, preminenza la poesia sulla pittura o vice versa. Temi e problematiche tutte queste, oltremodo specialistiche: quando poi si sono rivelate pure irte di velenosi aculei per i contendenti che si son schierarsi per l’uno o l’altro campo. Tanto che lo stesso Troiani ammette - proprio all’inizio del suo contributo - che “scoprire affinità tra codici linguistici diversi è andare oltre le apparenze sensibili”.
Le questioni che hanno tolto il sonno ai nostri dotti nei secoli passati - nonostante tutte le insidie che potevano porre -sono comunque da Nicola Troiani ripresentate: sia pure indorate con erudite quanto puntuali citazioni, ricche pur esse stesse a loro volta di squisita competenza e dottrina. Troiani, infatti, ricostruisce la storia dei succitati dilemmi con tutte le loro più o meno segrete aporie. Quindi poi questi stessi nodi vengono esposti con le loro stesse notevoli e purtroppo mutevoli riproposizioni, che si sono succedute nel corso dei secoli. Dati questi che sono la testimonianza, se non altro, che si tratterebbe di querelle che pare non vogliano saperne di andare in pensione. Di mettersi in un cantuccio, ovviamente, per lasciare ben più spazio a questioni più vitali, almeno per noi moderni. Problemi e soluzioni che, se non altro, ci dovrebbero facilitare di decretare la validità intrinseca di un’opera d’arte. Offrendo quindi nel contempo, ai suoi potenziali “lettori” quei raffinati ferri del mestiere che sono, in modo ineludibile, necessari.
Quando poi però Nicola Troiani viene al dunque e per ciò stesso affronta il tema che parrebbe essere il cuore e per ciò stesso il nodo specifico del suo contributo (che è intitolato per l’appunto “L’immagine e la parola. Paolo Finoglio, Torquato Tasso”) pare non riesca a venirne a capo.
Infatti allorché si accinge, appunto, a dirimere la querelle del rapporto che si deve o potrebbe instaurare tra immagine sulla tela e immagini poetiche e se analoghi problemi si sia o meno posti anche il nostro Finoglio (quando illustra le immagini poetiche del Tasso) Troiani pare si risponda con una serie di interrogativi: a cui poi non trova risposta.
Eccovene un florilegio: “Avrà un significato la scelta da parte di Finoglio di quei determinati episodi? E sarà un caso che essi siano dieci, quanti i canti di un altro imitatore, in versi questa volta, del Tasso? Occorre forse aprire i file delle storia, cercare le ragioni di questi singolari prelievi”.
Purtroppo poi, sfortunatamente, i file (e cioè gli archivi della storia) pur interrogati si devono essere rivelati sordi, ai pur pressanti interrogativi di Troiani: se quindi hanno rilasciato irrisolti parte dei suoi pur leciti e, quindi, eruditi interrogativi.
Ad ogni modo se il lettore desidera avere una risposta non dubitativa al quesito: a quali imperativi si è dovuto attenere Paolo Finoglio, quando ha ricevuto la committenza di illustrare la “Gerusalemme” da Giangirolamo II noi lo rimandiamo al volume che ha dedicato Vito L’Abbate a “Il ciclo pittorico di Paolo Finoglio sulla “Gerusalemme liberata” nella pinacoteca comunale, GraficaScisci, Conversano 1999, pp. 113”. Dove l’argomento ci pare ben delineato: in tutte le sue sfaccettature.
Purtroppo quella di L’Abbate è, però, un monografia che è esaurita da tempo. E che non si capisce per quali motivi non sia stata riedita. È, infatti, l’unica valida guida che noi abbiamo a disposizione per essere guidati (quasi per mano ma pur tuttavia muniti di tutta la documentazione necessaria) a leggere - con cognizione di causa - le dieci grandi tele del Finoglio, che ora sono custodite nella Pinacoteca Comunale. È un volume che, quindi, non sarebbe affatto male che la nostra amministrazione riediti, sia pure con le eventuali integrazioni che, nel frattempo, si saranno forse anche rese necessarie.
P. S. Perché nel prossimo numero della collana dei “crescamus” non vengono riportati i meri dati bibliografici dei quaderni precedentemente già editi? La terza di copertina ci pare sia l’ideale per accoglierli, anche perché è in bianco. Riteniamo che così facendo si renderebbe un servizio al lettore curioso di storia locale. E poi si ricorderebbe quanto i quaderni stessi sono stati utili per la ricostruzione della nostra storia: perché conoscere la storia del nostro territorio è una delle poche vie che ci può davvero offrire una identità non certo sempre peregrina.
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