Tutto l’azzurro del mare di Giovanna Sgherza è un romanzo connotato da un ritmo sommesso, che si dispiega in un incedere quasi sussurrato, com’è naturale quando l’obiettivo è l’esplorazione – l’auscultazione, direi – dell’interiorità.
Punto di partenza delle vicende è il sorgere e il graduale rinsaldarsi del legame sentimentale tra Danielle, protagonista dalla complessa e dolorosa storia familiare, e Jean-Claude, professore universitario, italo-siriano d’origine.
Scenario dell’innamoramento il mare turchese di un bellissimo borgo di pescatori, la Cassis dei calanchi, nel dipartimento delle Bocche del Rodano. Il mare diviene protagonista dell’opera accanto ai due personaggi già citati; come la vita – citiamo dal Prologo – esso “può annegarci, o rasserenarci, o salvarci”. Inutile rimarcare come tutti e tre i campi d’azione presenti nel Prologo affiorino nel corso del romanzo, in cui ogni capitolo è strutturalmente introdotto da una lirica. Testi poetici che, dando voce alla passione originaria dell’autrice (quella per la scrittura in versi), finiscono col fornire una sorta di mappatura della gradazione emotiva dei vari capitoli e con l’intessere un costante inno alla bellezza del mare e delle sue cromie. “In una vita / precedente / forse / sono stata / un’onda del mare, / con infinite / tonalità di azzurro”. Leitmotiv del romanzo è la presenza dei sassolini colorati restituiti dal flutto e custoditi dalla protagonista – come l’autrice – a testimonianza della solidità e dell’indissolubilità del legame amoroso. È proprio con quei sassolini che, condotta come Penelope a dover raffrontarsi all’interminabile tempo dell’attesa, Danielle avvierà la realizzazione non di una tela per raggiungere l’obiettivo del differimento, ma di un mosaico che deve invece essere terminato, perché al suo compimento potrebbe (è quello che il cuore spera) realizzarsi il miracolo del ritorno.
Tutto l’azzurro del mare si muove in una dimensione limitanea. Da un lato c’è il microcosmo benestante del professore universitario Jean-Claude: un mondo di loft, di ristoranti alla moda, di vacanze in località di suggestiva bellezza. Dall’altro appare la Siria martoriata dalle ferite belliche. La Siria del piccolo Karim e dell’orfanità, quella terra amata e amara in cui Jean-Claude stesso, sua sorella Amal, i loro genitori e infine anche Danielle perpetueranno la loro opera di beneficenza. Azione che si scontrerà con la mancata collaborazione delle autorità locali ma anche con tutto un sottobosco di criminalità senza scrupoli, che – come il trillo del destino – farà avvertire minacciosamente la propria presenza.
Eppure, in una narrazione che non disdegna inserti epistolari, tutto si sviluppa senza sbalzi, come una tessitura paziente e silenziosa in cui ogni cosa gradualmente prende forma e tutto anela a ricomporsi, attraverso l’opera di uomini e donne di buona volontà.
In un linguaggio cosmopolita, che accoglie gli anglismi tecnici dell’organizzazione di eventi ma anche il lessico culinario arabo, Sgherza innalza il suo canto alla vita e al mare; dà voce alla sua fede nella forza dell’amore in tutte le sue declinazioni; indugia sulla poesia dell’infanzia ancor più vivida laddove a essa siano stati negati i dolci sussulti della serenità.
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