“Rutigliano al tempo dei gigli”: il titolo di per sé molto suggestivo ben descrive il pregevole risultato del puntiglioso lavoro di ricerca svolto da Marcello Mignozzi, storico dell’arte, sulle tracce della pittura e della scultura di età angioina a Rutigliano.
Tra vicoli tortuosi e stradine non ortogonali, nel rispetto dello schema medievale “focalizzato”, le abitazioni del centro storico di Rutigliano si distribuiscono ancora oggi attorno al castello e alla chiesa matrice dimore di arcipreti e feudatari, figure che all’epoca rappresentavano il potere. Tutto si svolgeva all’interno delle mura che ora non esistono più e a cui si accedeva attraverso tre porte.
Nei pressi di uno dei varchi prossimi al castello fu eretta in età angioina una torre semicilindrica a protezione delle mura e dell’accesso. All’esterno delle mura sorgevano chiese, cappelle e il complesso monastico di San Tommaso, ormai distrutto.
Rutigliano e la monarchia angioina
Questo il quadro sommario della Rutigliano “al tempo dei gigli”, tempo in cui questi fiori erano una vera e propria personificazione della monarchia angioina. E questa è la cittadina che Mignozzi descrive con accuratezza nei primi capitoli scendendo man mano dal generale ai particolari, a quei dettagli che denotano la presenza a Rutigliano di eccellenti maestri della pietra in età angioina.
Il lavoro restituisce valore alla capacità di molti centri minori di generare ed educare all’arte, magistri capaci di raggiungere mete molto più ambite, e di competere con le migliori scuole dei grandi centri urbani.
La chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola
Molto interessante a questo proposito la disamina della chiesa di Santa Maria della Colonna e San Nicola, la chiesa matrice nel cuore della cittadina, sulla quale si sono sovrapposti nel tempo numerosi interventi che ne rendono difficile la lettura. Non lasciano dubbi alcuni semicapitelli collocati nell’area presbiteriale con la presenza ripetuta del fiore araldico angioino tripetalo in versioni sempre diverse. L’utilizzo del trapano in profondità per far emergere il rilievo fa pensare all’esperto autore che si tratti, in alcuni casi, di una rilavorazione trecentesca di blocchi di età normanna.
“È il semicapitello dell’ultimo pilastro a nord-est a non lasciare dubbi sul rimando all’emblema dinastico francese, perché sviluppa in maniera inequivocabile il seminato di gigli dello stemma del Regno di Napoli”.
All’esterno dell’edificio Mignozzi appunta la sua attenzione sul portale laterale sul fianco settentrionale, semplice, sobrio ed elegante, già oggetto di studio nell’ambito delle sue ricerche su programmi iconografici di tema mariano, impiegati in età angioina nelle lunette di portali di importanti edifici religiosi.
La Madonna delle Grazie
Il IV Capitolo Mignozzi lo dedica alla lettura dell’icona della Madonna delle Grazie. Conservata nel Museo Didattico di Arte e Storia Sacra della città di Rutigliano, è un dipinto su tavola con la raffigurazione della Vergine Hodegitria con Bambino proveniente dalla chiesa rurale di Santa Maria delle Grazie. Dell’immagine sono accuratamente descritti tutti i particolari che la avvicinano o la allontanano da altre consimili.
Scrive Migliozzi:
“Pur distinguendosi facilmente tutti quei dati formali che palesano debiti nei confronti della tradizione bizantineggiante, tali discrasie indicano una diversa e nuova consapevolezza dei modelli occidentali di gusto francesizzante.”
Gli stemmi litici e gli affreschi
Nel Capitolo V si ritorna alla chiesa matrice, nell’interno. Qui la presenza di stemmi litici ascrivibili alle più importanti famiglie dell’epoca, di sicura appartenenza all’inoltrato XIV secolo, lastre con iscrizioni, capitelli con elementi floreali, una croce processionale con lamine in rame dorato, sono la dimostrazione dell’utilizzo di alcune parti delle pareti laterali per monumenti sepolcrali. Prassi, questa, “perfettamente attestata nei contesti monumentali principali della Puglia angioina”.
Il Capitolo VI, si muove sull’ osservazione di affreschi, rilievi, pannelli appartenenti alla seconda metà del XV secolo, quindi ben oltre la fine dell’età angioina. Tutto sembra maggiormente affine a quanto prodotto in Salento durante la prima parte del Quattrocento, in legame con il territorio assoggettato ai del Balzo Orsini. Ciò a dimostrazione che Rutigliano non fosse estranea alle dinamiche di circolazione artistica che le permettevano di essere culturalmente allineata alle grandi città dell’epoca.
Nel VII ed ultimo Capitolo si sottolinea come l’indagine su Rutigliano al tempo dei ‘gigli’, riveli tutte le dinamiche tipiche della cultura angioina, oggetto di studi di Mignozzi da più di un decennio, riguardanti l’uso dell’arte nella comunicazione di messaggi ideologici e propagandistici.
Le maestranze di Rutigliano
Una committenza, quella angioina, veicolata dai ‘gigli’ quale segno di quel “lusso feudale” portato da i d’Angiò con la loro discesa dai territori francesi fino al meridione d’Italia. La Puglia tutta, e Rutigliano in particolare, non rimasero fuori dai giochi. La cittadina vide trasformarsi tanto il suo aspetto urbanistico quanto quello decorativo.
Alla fine del XIII secolo si ha notizia che “maestranze rutiglianesi vennero affiancate ad altre calabro-sicule per la lavorazione di mattoni destinati al palazzo e alla cappella del castello di Bari”. Ancor più rilevante è un dato documentario che attesta il coinvolgimento diretto di un maestro rutiglianese a Napoli fra il 1308 e il 1311, un magistro Goffrido de Rutiliano responsabile del ripristino della Chiesa di San Nicola al Molo, adiacente a Castelnuovo e dotata di hospitium. Napoli influenzava le province più periferiche del Regno e, a loro volta, i piccoli centri portavano un po’della loro esperienza per garantirle vigore e prosperità. Rutigliano in età angioina riuscì a riflettere un po’ di questo splendore e, mai dimentica della sua storia bizantina, riuscì ad aggiornarsi, occidentalizzandosi.
Grande merito di questo saggio è quello di aver dato voce agli scultori operanti in Puglia in età angioina, ma anche quello di consentire la piena legittimazione degli itinerari angioini, fino ad oggi poco noti al grande pubblico di estimatori dell’arte medievale.
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