Il Concilio Vaticano Il con la sua dichiarazione «Nostra Aetate» ha aperto una nuova impensabile via alla riflessione e all'atteggiamento del Cristianesimo nei confronti delle religioni universali. A questa svolta hanno portato il loro contributo gli studi dei Padri Gesuiti pionieri della «Théologie Nouvelle», in un primo momento, al tempo della enciclica di Pio XII «Humani Generis», guardati con sospetto e in un secondo momento, dopo la celebrazione del Concilio, insigniti dell'onore della porpora, Jean Danielou e Henri De Lubac. Essi avevano proposto la «teoria del compimento», nella quale alle altre religioni veniva riconosciuto il ruolo di «preparatio evangelica» al decisivo evento Cristo, carico di una portata soteriologica universale. Per essi tra le diverse religioni universali e il cristianesimo c'era la stessa relazione tra naturale e soprannaturale. Lo stesso De Lubac si richiamava al pensiero di Teilhard de Chardin il quale individuava proprio nel cristianesimo l'asse portante e normativo della ricerca e dell'incontro tra Dio e l'uomo. A superare la dicotomia tra natura e sopranatura, tra ricerca umana e grazia divina, interviene la proposta teologica di Karl Rahner, il quale con la espressione «cristianesimo anonimo» fa riferimento all'«esistenziale soprannaturale» che orienta ogni uomo verso la divinità e realizza la «esperienza trascendentale» che ogni uomo può fare anche nelle diverse categorie religiose che si sono storicamente realizzate. Nella proposta di Rahner le diverse religioni assumono una notevole portata soteriologica per cui l'uomo in un secondo momento si può aprire all'incontro cosciente con il Cristo annunciato. Nell'ambito del dialogo del cristianesimo con l'induismo decisivo è l'apporto di Raimond Panikkar, il quale nella scia di Rahner, nel suo primo saggio «Il Cristo sconosciuto dell’Induismo», propone la sua teoria della «presenza di Cristo» nelle diverse tradizioni religiose. Sembra quasi di risentire la voce degli antichi padri i quali parlavano di «semina Verbi» da valorizzare nella filosofia greca, stoica e anche nella proposta eterodossa della gnosi. Panikkar scrive di «una presenza vivente di Cristo nell'induismo» e decisamente afferma: «Cristo non sta soltanto alla fine, ma anche al principio (...). Cristo non è soltanto la meta ontologica dell'induismo, ma anche il suo vero ispiratore, e la sua grazia è quella forza direttrice, anche se nascosta, che sospinge l'induismo verso la manifestazione piena» 1. Egli si spinge a valorizzare in senso cristiano tutta la proposta religiosa dell'induismo sottolineando che: «L'induismo è il punto di partenza di una religione che culmina nella sua pienezza cristiana» e che la missione non ha altro compito che quello di svelarlo, perché è già presente Il limite della proposta di Panikkar sta nel circoscrivere la portata di Gesù di Nazaret, ridotto alla stregua di un mito, ad un oggetto di credenza e non accettare la fede nella ' sua realtà storica e personale di essere il Figlio di Dio incarnato. I successivi interventi di Panikkar in occasione di nuove edizioni della sua opera 2 non hanno dissipato tutti i dubbi, perché egli lo riduce ad una cifra storica dell'interpretazione del Mistero, quali nel passato sono stati Rama, Krsna, Isvara o Purusa o altri avatara. Non basta riconoscere che Gesù di Nazaret è la via di salvezza riconosciuta dal Cristianesimo, ma è e rimane la via universale e in questo sta la sua specificità. Il Concilio Vaticano II ha del tutto dimenticato l'arroccamento della Chiesa espresso nell'adagio «Extra ecclesiam nulla salus», riconosciuto nel decreto per i Giacobiti del concilio di Firenze del 4 Febbraio1442, e la tenue breccia aperta dal Concilio di Trento nel decreto sulla giustificazione (13 Gennaio 1547) con il riconoscimento della validità del «battesimo di desiderio» (D. 1524). Diversi fattori intervengono nell'orientare le scelte conciliari: l'istituzione di un Segretariato per i non cristiani nell'anno 1964, la pubblicazione dell'enciclica «Ecclesiam suam» da parte di Paolo VI, il suo viaggio in India sempre nell'anno 1964, che può essere indicato come quello della svolta epocale nel processo di riconoscimento, di stima e di dialogo che è alla base della più sensibile teologia delle religioni. Il magistero conciliare si articola in tre documenti fondamentali: Costituzione «Lumen Gentium» (nn. 16-17), Dichiarazione «Nostra Aetate» (n. 2), Decreto «Ad Gentes» (nn. 3.9. 11). Nel breve spazio concesso ad una prefazione è opportuno fermare l'attenzione su testo della Dichiarazione sulla Libertà Religiosa, che diventa requisito fondamentale per un incontro e un dialogo amichevole: «La chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella Verità (radium. illius Veritatis) che illumina tutti gli uomini. Essa però annuncia, ed è tenuta ad annunciare incessantemente, Cristo - che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6) in cui gli uomini trovano la pienezza della vita religiosa e in cui Dio ha riconciliato a sé tutte le cose (cf 2 Cor 5, 18s.). Essa perciò esorta tutti i suoi figli affinché, con prudenza e carità, per mezzo del dialogo (colloquia) e la collaborazione con i seguaci delle altre religioni, rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i beni spirituali e morali, e i valori socio-culturali che si trovano in essi. " (n. 2). Il papa del dialogo Paolo VI nella sua enciclica programmatica si esprime con estrema cautela: «Noi non possiamo evidentemente condividere queste varie espressioni religiose, né possiamo rimanere indifferenti, quasi che tutte, a loro modo, si equivalessero, e quasi che autorizzassero i loro fedeli a non cercare se Dio stesso abbia rivelato la forma, scevra d'ogni errore, perfetta e definitiva con cui egli vuole essere conosciuto, amato e servito; che, anzi, per dovere di lealtà, noi dobbiamo manifestare la nostra persuasione essere unica la vera religione ed essere quella cristiana e nutrire speranza che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio.» 3 Egli continua insistendo sulla esclusiva salvezza offerta dal cristianesimo: «Non vogliamo rifiutare il nostro rispettoso riconoscimento ai valori spirituali e morali delle varie confessioni religiose non cristiane; vogliamo con esse promuovere e difendere gli ideali, che possono essere comuni (...) In ordine a questi comuni ideali un dialogo da parte nostra è possibile; e noi non mancheremo di offrirlo là dove, in reciproco e leale rispetto, sarà benevolmente accettato.» 4 Nella esortazione apostolica «Evangelii nuntiandi» manifesta perplessità sulle possibilità del dialogo interreligioso quando sinteticamente parla di «braccia tese verso il cielo» nelle altre religioni e esalta soltanto il Cristo-Dio che sceglie di chinarsi sull'umanità». Più articolato risulta l'insegnamento di Giovanni Paolo II in materia. Egli fin dalla sua prima enciclica «Redemptor hominis» del 4 marzo 1979 difende la legittimità della pratica dell'ecumenismo, vi riconosce l'azione dello Spirito Santo e ne allarga l'azione anche all'incontro con le altre religioni: «Pur se in altro modo e con le dovute differenze, bisogna applicare ciò che è stato detto all'attività che tende all'avvicinamento con i rappresentanti delle religioni non cristiane, e che si esprime mediante il dialogo, i contatti, la preghiera comunitaria, la ricerca dei tesori della spiritualità umana, i quali - come ben sappiamo - non mancano neppure ai membri di queste religioni» 5. Questo spirito di autentica religiosità con la decisiva connotazione pneumatica è alla base della preghiera comunitaria che ha raccolto in tre diverse circostanze (27.10.1986, 09.01.1993, 24.01.2002) i rappresentanti delle religioni mondiali nella mistica città di Assisi per invocare dall'unico Dio il bene della pace per tutti i popoli. Nella successiva enciclica «Redemptoris Missio» del 7 Dicembre 1990 lo stesso pontefice puntualizza l'universalità dell'azione dello Spirito senza alcuna barriera di tempo, di spazio e... di religione: «Lo Spirito si manifesta in maniera particolare nella chiesa e nei suoi membri tuttavia, la sua presenza ed azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo... Lo Spirito (...) è all'origine stessa della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo, la quale nasce non soltanto da situazioni contingenti, ma dalla struttura stessa del suo essere. La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui, ma la società e la storia, i popoli, le culture, le religioni» (n. 28) 6 La interpretazione del rapporto tra Cristianesimo e le altre religioni mondiali si ispira alla «linea del compimento» nell'altra enciclica «Tertio millennio adveniente» del 10 novembre 1994 e questo a discapito del riconoscimento della incisiva azione dello Spirito Santo pur chiaramente affermata in precedenza: «Gesù non si limita a parlare «a nome di Dio» come i profeti, ma è Dio stesso che parla nel suo Verbo fatto carne. Tocchiamo qui il punto essenziale per cui il cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s'è espressa sin dall'inizio la ricerca di Dio da parte dell'uomo, Nel cristianesimo l'avviò è dato dall'incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto l'uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a parlare di sé all'uomo e a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo. (...) Il Verbo incarnato è dunque il compimento dell'anelito presente in tutte le religioni dell'umanità: questo compimento è opera di Dio e va al di là di ogni attesa umana. P mistero di grazia. In Cristo la religione non è più un «cercare Dio come a tentoni» (cf At 17, 27), ma risposta di fede a Dio che si rivela. Cristo è il compimento dell'anelito di tutte le religioni del mondo, e, per ciò stesso, ne è l'unico e definitivo approdo». (n. 6) 7 In sintesi nell'analisi delle relazioni tra Cristianesimo e religioni non cristiane rimane un rapporto asimmetrico fondato sull'unicità del Mediatore universale e sulla fede nella sua divinità. Questa asimmetria rende sempre problematico il dialogo incipiente e auspicabile e quasi scontata la conclusione che orienta tutta la ricerca verso il Cristo nascosto nelle diverse tradizioni religiose. In questo contesto bisognerebbe anche ricordare la «Dichiarazione Dominus Iesus sulla unicità e universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa» 8 pubblicata dalla Congregazione per la dottrina della fede in data 5 settembre 2000 che ha suscitato un acceso confronto tra i teologi, e la «Notificazione sul libro Verso una teologia cristiana del pluralismo religioso di Jacques Dupuis», pubblicata sull'Osservatore Romano del 27 febbraio 2001. Sono due documenti di grande portata teologica che sottolineano l'attualità e i rischi del dialogo interreligioso. Non si può fare a meno di sottolineare il rischio e la sofferenza di chi avverte la coscienza e la responsabilità di un ruolo profetico che si esplica in un servizio umile all'intelligenza dell'altro e al dialogo costruttivo. Da queste pagine giunga al Rev. P. Jacques Dupuis S.J. un grazie per il suo lavoro teologico e per l'esemplare docilità nell'accettare una sofferta ubbidienza d'intelligenza. Secondo il parere del discusso teologo Hans Kung, direttore dell'Istituto per la ricerca ecumenica all'Università di Tubinga, il cristianesimo e le religioni induistiche intendono proporre una via pratica alla risoluzione dei problemi che l'uomo avverte per liberarsi dalla palude dell'esistenza e attingere la salvezza. Egli sul piano teologico scopre una duplice concordanza di fondo: «Il cristianesimo e le religioni induistiche conoscono l'alienazione, la decadenza, il bisogno di redenzione del mondo. Essi conoscono in qualche modo l'ignoranza e la cecità, la solitudine e la fragilità dell'uomo, la sua istintività, indolenza e angoscia, insomma: il suo immenso egoismo. Essi sono preoccupati per l'indicibile sofferenza, che scaturisce dalle azioni proprie dell'uomo e dai loro effetti, ma anche per la miseria di questo mondo sventurato in generale. Il cristianesimo e le religioni induistiche sperano nella liberazione a opera di un assoluto: desiderano la conoscenza, la trasformazione, l'illuminazione, la liberazione, la redenzione dell'uomo e del suo mondo; sperano in ciò mediante l'ingresso in qualcosa di ultimo, di incoridizionato, di supremo: nella realtà realissima, comunque denominata o comunque compresa; sanno che questa realtà realissima è nascosta, nonostante la sua vicinanza, che l'Ultimo non è per principio oggettivabile, accessibile, disponibile, che l'assoluto stesso deve concedere l'illuminazione, la rivelazione e l'eliminazione della sofferenza.» 9 L'excursus di carattere teologico è un preludio al serio lavoro filosofico condotto dalla prof.ssa Teresa Dell'Aera Luparelli, la quale si è cimentata nell'analizzare l'arduo «incontro» tra il Cristianesimo e l'Induismo sul terreno della «mistica» Proprio l'esperienza mistica personalizza e approfondisce o eleva la visione, la fede e l'esperienza religiosa. Nella mistica si inserisce non soltanto la verità, che si ritrova «in interiore hominis», ma più ancora l'amore che diventa contemplazione e si dirige verso un Tu che trascende e che attira tutte le facoltà dell'uomo. Una sana riflessione condotta con acribia porterà a superare le sabbie mobili del panteismo. Non ci può essere mistica senza la possibilità di attingere il divino e l'antinomia tra naturale e soprannaturale viene oltrepassata da una intelligenza d'amore che si fa sofferta donazione nella notte oscura della ricerca. L'analisi è condotta ripercorrendo non solo i testi più significativi delle diverse tradizioni religiose, ma più ancora attraverso la rilettura delle esperienze di personalità rappresentative quali Gandhi, S. Radhakrisnan. K. Chunder Seri, B. Caran Kauerji, S. Agostino, S. Giovanni della Croce. Non si tratta di dar voce ad una superficiale moda orientata all'esotismo orientale, ma di un impegno ad aprire un dialogo anche sul piano strettamente filosofico che si cimenta sul terreno inesplorato e affascinante della mistica. Certamente non si può fare a meno di analizzare le diverse forme di ricerca psicosomatica che agevola l'esperienza della meditazione (yoga, zen) ma è opportuno ricordare come nel cristianesimo l'esperienza mistica non è soltanto frutto dell'ascesi individuale ma più ancora carisma di portata ecclesiale. Non si tratta di una pretesa di ecclesiocentrismo ma di una specifica della mistica cristiana in cui si coniuga la ricerca del divino che è sempre l'Essere personale con la dimensione «sponsale» che è propria della mistica della scuola spirituale carmelitana (S. Teresa d'Avila, S. Giovanni della Croce). Riportando il discorso sul piano teologico ci sono delle questioni cogenti che il filosofo cristiano si deve porre analizzando le due esperienze religiose del cristiano e dell'induista, e che suggeriamo al benevolo lettore: C'è una differenza tra l'illuminazione, che si raggiunge attraverso la pratica della meditazione, e la rivelazione biblica? Che valore dare ai testi sacri: i miti dei Veda delle Upanishad o della Baghavad Gita e la storia di Gesù di Nazareth, raccontata nei documenti di fede della primitiva chiesa che noi chiamiamo Vangeli? La rivelazione di Siva in Lakulin o di Visnu in Krishna, del quale si afferma la storicità, si può confrontare con l'evento dell'Incarnazione della seconda persona del Dio Uno e Trino nel Figlio della Vergine Maria? Rimane ancora la speranza della Risurrezione nel confronto con la credenza della reincamazione? L'esperienza mistica dell'induismo si può assimilare a quella cristiana, quando, pur rimanendo identico il soggetto (l'uomo) e le facoltà psichiche impegnate, A termine o oggetto (Dio o il divino) si differenziano totalmente secondo la categoria della persona? Sono domande che anche la riflessione filosofica si deve porre e nella riflessione operare una scelta e offrire una risposta che diventano decisive perché si tratta della salvezza eterna comunque intuita o offerta attraverso un mediatore. Una ultima parola sul discorso fatto dall'esimia autrice: nel calore dell'eloquio si esprime una sofferta partecipazione alle vicende della vita umana, cui soltanto la fede ha dato conforto e speranza. La riflessione sulla mistica diventa quindi anelito di speranza e canto di vita, sia pure filtrati attraverso un discorso soltanto apparentemente freddo e razionale.
1 R. PANIKKAR, Il Cristo sconosciuto dell'Induismo, Vita e Pensiero, Milano, p.10. 2 R.PANIKKAR, Tbe Unknown Cbrist of Hinduism. Toward an Ecumenical Cbristophany, Longman, Darton and Todd, London 1981. 3 PAOLOVI, Enc. «Ecelesiam suam», AAS 56 (1964), 655 4 Ibid. 5 GIOVANNI PAOLO II, Enc. «Redemptor hominis», AAS 71 (1979), n. 6. 6 GIOVANNI PAOLO II, Enc. «Redemptoris Missio», AAS 83 (1991). 7 GIOVANNI PAOLO II, «Tertio millennio adveniente», AAS 87 (1995). 8 Cf AAS 92/10 (2000), 742-765. 9 KUNGHANS, Cristianesimo e religioni universali, Arnoldo Mondandori Editore, Milano 1984, edizione CDE, pp. 268-269.
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