525 pagine di grande formato; 5.000 lemmi completi di indicazioni morfologiche e sintattiche; tutti i paradigmi verbali regolari e irregolari della parlata conversaanese; 3.800 ipotesi etimologiche; 4.300 frasi idiomatiche; nell’«Appendice»: filastrocche, canti, giochi, toponimi e rimembranze paesane in versi; poi due acqueforti in b/n di Tony Prayer, una copertina in quadricromia che riproduce un quadro dello stesso noto pittore veneziano residente a Conversano; quindi ben 79 preziose perché oramai introvabili riproduzioni di oggetti (che un tempo erano di uso comune) disseminate strategicamente nel corpo del testo, queste le cifre che balzano agli occhi appena si accenna a squadernare «Il dizionario della parlata conversanese» (Levante, Bari 2010, pp.525, €40) ultima fatica filologica, in ordine di tempo, del professor Pasquale Locaputo cui si deve una ben nota e apprezzata rievocazione narrativa di alcuni episodi di ‘magaria’ avvenuti in Conversano, negli anni a cavallo del 600, intitolata «Le Masciare» (Arti Grafiche Scisci, Conversano marzo 1997).
L’assunto che ha fatto concepire e quindi quasi costringere a realizzare questo monumentale «Dizionario» è stato l’amore per una ‘lingua’ che sta per cadere in disuso. E, per ciò stesso, l’intento cui è esplicitamente sotteso alla sua realizzazione è, per l’appunto, quello di salvare un patrimonio che è non solo il più singolare documento di un recente passato quanto perché di quest’ultimo è sostanziata (principalmente) una parte della sua storia e, per ciò, stesso della sua cultura meno effimera. E cioè di quel complesso di conoscenze e convenzioni che incidono sulla formazione di una coscienza collettiva e quindi poi generano quelle pratiche collettive (di una società organizzata e/o civiltà) che, come gran parte dei suoi membri più anziani, è già destinata, per lo meno in tempi brevi, ad avviarsi al suo declino. Un’eclissi, insomma, che se pur deve fare i conti con la volubilità degli dei (sulle cui ginocchia -come è noto- è posto il futuro degli uomini come delle loro opere) questa volta deve pur fare i conti con quella sorta di frangiflutti contro il destino baro che è di fatto, anche per la sua monumentalità non affatto effimera, il «Dizionario della parlata conversane» di Pasquale Locaputo.
La speranza e quindi l’aspirazione che Locaputo accarezza è, pur contro l’ineludibile eclissi del dialetto conversanese, quello di sognare che un giorno, un giovane, compulsando il suo «Il dizionario», sia portato a sussurrare, tra sé e sé con un briciolo di rattenuta malinconia, “così erano i nostri padri” e, quindi, grazie proprio a questa constatazione, essere portato a sentirsi ‘figlio’ del nostro professore. Infatti, intento precipuo di Locaputo non è stato quello di sostituirsi a un glottologo di professione, quanto di rivolgersi al lettore profano. Lettore che è, per l’appunto, l’interlocutore privilegiato cui affabilmente si rivolge il Nostro. In quanto il professor Locaputo si propone (molto modestamente, a dir la verità) di aver voluto soltanto segnalare alcune caratteristiche singolarmente precipue della parlata conversanese, presentandole come ‘curiosità’ e quindi evidenziarne le peculiarità che considera, a tutti gli effetti, tipiche della‘ nostra lingua’. E, per ciò, rendere consapevoli i lettori del «Dizionario» della ‘singolare originalità’ e quindi ‘dignità’ della parlata conversanese. Non per nulla, sembra soggiungere non proprio affatto tra righe il professor Locaputo, un dialetto ha una sua valenza identitaria così marcata che, come le opere architettoniche più care alla memoria della comunità conversanese, anche la parlata, che fu sua tra gli anni ‘40-e ’50, doveva avere il suo monumento. E questo, oggi, gli è stato edificato per merito precipuo, appunto, della certosina, fruttuosa ricerca che ha animato e quindi forse anche caratterizzato, in questi ultimi anni, in maniera peculiare almeno parte dell’intensa vita intellettuale del professor Locaputo.
Al dialetto conversanese è stato quindi eretto un monumento con questo non certo affatto modesto «Dizionario della parlata conversanese». «Dizionario» che è poi, fra l’altro, anche una straordinaria impresa di recupero filologico del dialetto conversanese così come questo si è andato stratificando e quindi precipuamente imposto negli anni ’40 -’50 del ‘secolo breve’ appena trascorso. Parlata conversanese alla quale, di tanto in tanto, si deve anche saper riandare con sagace avvedutezza per ri-catturare, per l’appunto, echi, umori, tempi e tremori d’antan perché “mòu šchette i recurde / e na làcreme e u desedèrie / de ternè ndrèite”,molto probabilmente, ci rimane. E, quindi, abbiamo come uno dei rari porti in cui trovare un riparo non solo nostalgico.
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