Il professor Pasquale Locaputo non è affatto nuovo a felici incursioni nel campo prettamente letterario pur se la sua specifica formazione universitaria (si è, infatti, laureato discutendo una tesi in storia contemporanea con il professor Enzo Tagliacozzo) faceva intravedere, quanto meno agli inizi, la nascita di un promettente ricercatore dalla carriera accademica quasi assicurata. Nel corso del 1997 il nostro professore aveva, per l’appunto, dato alle stampe ‘Le masciare’.1
‘Le masciare’ sono, infatti, un articolato resoconto (dall’andamento però in sostanza squisitamente narrativo) che offre ai suoi lettori la ricostruzione di alcune ‘storie’ che traggono, gran parte, dei loro imprevedibili intrecci da ciò che è documentato nei testi dei verbali (tutt’ora inediti) di un processo svoltosi, nel corso del 1582, a Conversano. Verbali che, purtroppo, sono malauguratamente andati smarriti (molto probabilmente per incuria) in quanto nell’Archivio Diocesano di Conversano 2 (archivio in cui un tempo erano custoditi) non ve ne è più traccia.3 Quest’ultimo è un dato che si deve sommare quale ulteriore, prezioso, significativo pregio (pregio dalle singolari valenze storiche) che, quindi, si somma agli altri in quanto permettono di preservare dall’oblio una significativa quanto singolare vicenda della quale, altrimenti, se ne sarebbe perduta ogni traccia. Se infatti, oggi, non si avesse a disposizione la ricostruzione che Pasquale Locaputo ha fatto degli avvenimenti in cui sono state protagoniste addirittura un manipolo di ‘masciare’ e quindi di color che tenevano loro bordone, non si avrebbe a disposizione un impagabile ritratto della vita quotidiana che si svolgeva (indubbiamente intrigante) tra i vicoli della Conversano del XVII secolo, epoca nella quale le ‘masciare’ avevano un peso culturale non affatto indifferente nel condizionare, nel bene come nel male, gran parte dei costumi e quindi delle stesse consolidate credenze della comunità conversanese.
La rivocazione, cui abbiamo appena accennato, infatti ricostruisce quanto si coglie nelle ‘carte’ di un processo intentato dalla ‘Vescovil corte della diocesi conversanese’: a carico di un gruppo di ‘masciare’. Cioè di streghe o ‘fattocchiare’4 come l’autore specifica nel prezioso ‘glossario'5 che ha, previdentemente, posto in appendice alla sua prima fatica letteraria data alle stampe.
In ‘Le masciare’ quindi si ricostruiscono i singolari casi di cui sono protagoniste un gruppetto di ‘masciare’ conversanesi e quindi anche di color che tengon lor bordone. E che, per questo precipuo accidente, fanno anche ricorso (volenti e/o nolenti) alle ‘magarie’6 e/o ‘mascie’7 somministrate dalle ‘masciare’: cioè fanno ricorso a quelle operazioni di carattere magico che, nella parlata conversanese 8 , erano, quasi sino a ieri, ancora indicate come ‘fatture'9 e/o ‘incanti' 10. Operazioni di carattere magico-popolari che, per l’appunto, eran solite essere praticate dalle ‘masciare’. ‘Masciare’ che quindi hanno, per altro, avuto, come è stato ampiamente documentato di recente11, un intrigante fascino culturale che si è protratto sin quasi alla fine del ‘secolo breve’ che è appena trascorso. Attrattiva che è, per altro, attestata anche nella parlata conversanese che, infatti, conservava gran parte dei termini che si riferiscono alle ‘masciare’ che hanno avuto la ventura di allignare nell’antica Norba12.
L’ambientazione delle storie cui ci siamo sin qui riferiti è quindi prettamente conversanese. E, per ciò, di storie conversanesi (sia pure di alcuni secoli fa) il volume di ‘Le masciare’ si alimenta. E, per ciò stesso, in ‘Le masciare’ vengono anche delineati costumi in gran parte divenuti, oggi, oramai quasi del tutto desueti. Viene individuata, infatti, anche una subcultura di cui, ai giorni nostri, è rimasta forse solo una sua modesta traccia che è, quindi, quasi unicamente rintracciabile se non che, in gran parte, nella parlata conversanese13.
Insomma in ‘Le masciare’ vi è rappresentata (e quindi tra le righe anche bonariamente giudicata) tutta intera una comunità: la comunità conversanese del XVII secolo. E, per ciò stesso, questa medesima comunità vi si rivela così come si proponeva quotidianamente. E cioè come un gruppo sociale in sostanza legato da vincoli e quindi poi anche interessi di cui oggi si son persi, almeno nei lor tratti più distintivi: costumi, abitudini e riti. Sicché questi ultimi vengono fotografati nella loro peculiare singolarità e, in particolare, quando l’universo comunitario (cui abbiamo appena accennato) esonda dai ‘sottani’. E, per ciò, non può non riversarsi, più o meno chiassosamente, nei vicoli.
Gli episodi che sono ricostruiti in ‘Le masciare’ si dispiegano, quindi, innanzi agli occhi del lettore, come un micro-universo nel quale la sua storia (dato singolare che arricchisce ulteriormente le vicende narrate) vi si disegna come un mondo oramai pietrificato. E, per ciò, la ricostruzione che ce ne offre Pasquale Locaputo, ci permette di recuperarne alcuni dei suoi frammenti più caratteristici che, proprio per questo motivo, sono divenuti singolari casi degni, per l’appunto, di essere ricordati: forse anche con un pizzico di nostalgia.
Altra, non comune, incursione del professor Pasquale Locaputo (sempre nel campo letterario, ma questa volta di natura prettamente glottologico-filologica) è stata, dopo ‘Le masciare’, l’ideazione e quindi la stessa realizzazione del monumentale ‘Dizionario della parlata conversanese’14.
Nel ‘Dizionario’ Pasquale Locaputo vi dispiega la sua misurata acribia e, quindi poi – forse anzitutto - la sua sapienza linguistico-filologica. Multi-competenze che si son andate affinando nel corso di decenni d’insegnamento in scuole di istruzione secondaria superiore. Per altro preziose competenze a cui fa da ineludibile sostegno una consapevolezza culturale non comune (anche se mai ostentata), sicché a Pasquale Locaputo riesce l’impresa, non affatto del tutto semplice, di erigere un vero e proprio monumento alla parlata conversanese degli anni ’40 -‘50 del secolo appena trascorso.
Impresa che (oltre che glottologico-filologica) è, quindi, da considerarsi pure eminentemente editoriale: data la mole del volume e della straordinaria messe di illustrazioni che permettono di offrire precisa contezza della natura e quindi della stessa utilità di una serie di utensili (indispensabili, ma che per converso avevano una loro indiscutibile modesta fattura) che oramai non si usano quasi più; ma che, nel corso degli anni ’40 -’50, avevano un posto di indiscutibile rilievo nella vita della comunità conversanese in quanto facilitavano, in maniera particolarmente funzionale il quotidiano affaccendarsi per sbrigare ogni incombenza che proponeva una vita tutt’altro che confortevole.
Impresa, culturale e allo stesso tempo anche prettamente editoriale, alla quale quindi è e sarà, per ciò, anche in gran parte legato (facile quanto sin anche ovvia profezia) il buon nome del professor Locaputo per lunghissimo tempo, anche in avvenire. E forse ben più in avvenire che non oggi stesso: in quanto, oggi, son forse ben più vivi i sentimenti di riconoscenza che son legati al suo magistero professionale.
A margine di questa non affatto modesta ‘impresa’, Pasquale Locaputo ha poi pure avuto modo di offrire (con la stessa discrezione che, per altro, connota lo stesso, inimitabile modo di agire quotidiano), inserendoli al termine del ‘Dizionario’, forse l’anticipazione di alcune sue composizioni poetiche15. Composizioni di cui, per altro, non si aveva affatto alcun sentore. E che, quindi, il nostro professore doveva aver in serbo: celati in un segreto cassetto.
Si tratta di un gruppo di articolati versi in cui, ancora una volta, la ‘parlata conversanese’ vi fa da padrona, per altro in mnaiera quanto mai peculiare. E che, per ciò, vi diviene la lingua che non solo è singolarmente privilegiata, con magistrale padronanza, ma che, per altro, forse permette al professor Locaputo di poter comunicare, come molto probabilmente altrimenti non gli sarebbe stato possibile: emozioni, stupori, turbamenti, rimpianti ed anche meri accidenti che, può darsi, non avrebbe mai altrimenti osato far divenire materia per una sua sorta di pubblica confessione. Confessione che ci pare sia il risultato, non certo tra i minori, che si può cogliere in ‘U iòuse’16, in ‘U vevecchiaridde’17, in ‘Iè Natèle’18 e quindi in ‘La chioccia vecchie’19.
Versi che sono, per ciò, strategicamente proposti quasi a logica conclusione della paziente fatica che ha portato alla stessa realizzazione del ‘Dizionario della parlata conversanee’. È, invece, proprio di questi giorni, la pubblicazione di C’era una volta:20 ultima fatica letteraria (in ordine di tempo) del professor Locaputo.
C’era una volta, infatti, mette organicamente insieme un nutrito gruppo di racconti. In C’era una volta sono, infatti, raccolti ben quarantacinque narrazioni: sia brevi che lunghe.
Questa articolata silloge segna inoltre, in maniera indubitabile, un vero e proprio ritorno di Pasquale Locaputo al felice, riuscito piacere di raccontare. Diviene, di fatto, anche una riappropriazione del piacere di ricordare che è, per l’appunto, non a caso, estrinsecato - in maniera felicemente espressiva - in altrettante narrazioni che riescono, proprio per il loro singolare esito, a far ottenere al loro autore risultati che in passato non aveva che marginalmente conseguito con questa stessa riuscita espressività.
In C’era una volta Pasquale Locaputo ha, infatti, modo di mettere proficuamente a frutto (senza per altro ostentarla in maniera saccente) la raffinata cultura che si rileva essere sottesa ai plot narrativi che sostanziano i racconti più riusciti.
Pasquale Locaputo nei racconti di C’era una volta ha modo, per l’appunto, di mettere bellamente in mostra la sua nativa attitudine a raccontare con amabile cordialità. Sensibilità che è dovuta ad una naturale verve narrativa che è piegata a consegnare al lettore, inserendoli in un contesto particolarmente attraente, ritratti a tutto tondo di personaggi a cui poi associa, in una commistione felice poi anche descrizioni di luoghi particolarmente cari alla memoria, non solo del professor Locaputo.
I racconti di C’era una volta (altra peculiare caratteristica, che quindi li connota in maniera particolarmente significativa e tale che quindi non si può affatto non sottolineare con evidente piacere) hanno poi come loro fondale e, per ciò stesso, come loro ideale palcoscenico: ancora una volta Conversano.
I personaggi che animano le trame di C’era una volta prendono, infatti, vita (e, per ciò stesso, anche singolare vitalità) nel centro dell’antica Norba. Quindi son poi anche ripresi sullo sfondo, quasi sempre presente, delle campagne che circondano il borgo conversanese. E, proprio per questi specifici motivi, in C’era una volta vengono, spesso, raccontati personaggi realmente esistiti e/o quindi ricostruiti avvenimenti che hanno animato, con la loro istruttiva e/o significativa essenza, Conversano e il suo agro: in un arco di tempo che va dalla preistoria sin quasi ai nostri giorni.
I protagonisti di C’era una volta son poi (altra precipua caratteristica che connota i quarantacinque racconti di C’era una volta) ancorati a vicende di cronaca e/o storie connotate da avvenimenti e casi specificamente conversanesi. L’autore, a volte, li ha anche immersi in quell’atmosfera ch’è tipica delle fiabe di tradizione popolare. Per ciò, al centro dei racconti di C’era una volta, spesso spiccano, proprio per la loro particolare rappresentatività, una miriate di personaggi, di figurine e quindi poi anche alcuni tra i più caratteristici e caratteristici angoli, spazi e quindi poi anche vicoli e vicoletti di Conversano.
Per quanto abbiamo appena cennato: personaggi, figurine, angoli caratteristici e poi ancora spazi e quindi poi pure vicoli e vicoletti di Conversano divengono i veri protagonisti delle novelle raccolte in C’era una volta. Si tratta, molto spesso, di avvenimenti che hanno avuto come loro fondale privilegiato: caratteristici angoli e poi ancora spazi e quindi poi pure vicoli e vicoletti di Conversano di cui, purtroppo, le nuove generazioni forse non hanno quasi più se non una pallida memoria.
Non si può quindi considerare un caso se Pasquale Locaputo lamenti (sia pur tra le righe, ma – tuttavia - chiaramente) la dispersione di un gran numero di 'toponimi' conversanesi. E quindi poi ancora deplori, ma con un pizzico di malcelata nostalgia, l’inarrestabile scomparsa di quei 'mestieri' ch’erano tipicamente conversanesi. E che quindi, proprio per questo specifico motivo, trova modo, di farli ri-vivere, sia pure per l’arco di un suo, impagabile racconto.21
Le narrazioni rievocative di C’era una volta hanno poi in serbo ancora un’altra, non certo mascherata ambizione: lasciare concreta traccia di ciò che è pur stato particolarmente vivo nel passato (più o meno recente) di Conversano. Un passato, a volte, costituito, quasi essenzialmente, di semi-anonimi angoli, di caratteristici e singolari spazi semi-nascosti e quindi di vicoletti oggi quasi neppur più sempre abitati. Di vicoletti, però, divenuti quasi leggendari: per la loro peculiare singolarità in quanto è il ricordo del loro non certo affatto modesto passato che li rende particolarmente significativi: tali e tante sono le vicende che vi si son dipanate e che quindi rievocano: al solo pronunciarne il loro nome. I loro toponimi (ora affidati quasi esclusivamente alla parlata conversanese) sono oggi (purtroppo) come cancellati dalla memoria collettiva.
Chi, infatti, in specie tra i nostri giovani (e forse anche tra i meno giovani), sa dove, quando e perché ci si può imbattere in ‘U pozze de la chiìse granne’, in ‘térre rosse’, in ‘u tregghiòune de Baggiötte’, negli ‘archi di San Vito’, nella ‘torre quadrata’, in ‘u ring’, in ‘l’acquère’, in ‘l’urte de Narde’, in i ‘veccire du vecciaròle’, nello stesso ‘vicciaròule’, o in ‘u ceddëne’, in ‘la nevièire’, in ‘l’acque de Crèste’, in ‘ la stréttele di forche’, o in ‘u boschette’, in ‘u lepömme’ e/o in ‘la casa de li sorgi’?
Chi ha più mai il privilegio (e/o la possibilità materiale) di vedere all’opera ‘u méste d’ascie’, ‘o varvìre’, ‘u scarpére’, ‘la maéste de còuse’, e poi ancora chi aggiustava i ‘càndere rotte’ o il ‘ cunzasigge’, o il ‘cunzacallére’?
E chi più mai poi sente ancora per le strade di Conversano gli inviti (strillati in maniera tale da colpire l’attenzione anche del più distratto) del rivenditore di ‘màgli’è fine’, il cercatore de ‘la fèzza d’ùgghie’, gli ambulanti che cercavano ‘ ce tèine i mènnele da vènne’?
Ebbene tutto questo universo d’antan è presente, in tutta la sua peculiare singolarità, in alcune delle pagine più riuscite di C’era una volta. Pagine che hanno quindi anche il merito (non affatto modesto) di ri-consegnarci (come meglio non sarebbe stato possibile, e per giunta in maniera ancora particolarmente viva) un mondo che quasi non c’è più. Ma che, pur tuttavia, ci appare (nella rivocazione che ce ne offre Pasquale Locaputo) forse restituito in maniera inestimabile: proprio nelle quarantacinque narrazioni che ha riunito in C’era una volta.
In C’era una volta (va, inoltre, subito convenientemente sottolineato) non vi è però (neppure ipocritamente mimetizzato) un invito a rimanere ostaggi del passato. Ostaggi (intendiamo) di quel ‘passato’ (con i suoi ricordi, le sue passioni e le sue malinconie che pur hanno nutrito generazioni) ostaggi e/o prigionieri di quel ‘passato’ che in C’era una volta vi è ri-considerato come un universo che (se ha saputo conservare, quasi per intero, il fascino delle sue non affatto modeste attrazioni) non viene, però, enfaticamente idoleggiato come un mondo da ammirare con anacronistica, passatistica nostalgia. Ma, al contrario, vi è presentato come un complesso, articolato universo che si deve saper sondare: per analizzarlo con gli strumenti più raffinati che si hanno a disposizione.
Per ciò l’imperativo che viene da una lettura dei più suggestivi racconti riuniti in C’era una volta, è quello di saper prendere, innanzi tutto, una giusta distanza da quello stesso universo-mondo. Quindi di essere in grado di ricavare da quello stesso passato (che pur è empaticamente ricostruito e quindi ri-memorato) ciò che si è in grado di recuperare di vitale: perché questo universo, pur cristallizzato in alcune delle sue oramai quasi anacronistiche consuetudini, ci può, pur tuttavia, permettere di mettere (una volta colti gli ammonimenti storici che se ne possono correttamente trarre) in dialettico, fruttuoso rapporto con quei mondi culturali (da noi sostanzialmente differenti) con i quali dobbiamo fare i conti: quasi quotidianamente,.
Insomma in C’era una volta vi è, tra l’altro, anche consegnato un perentorio, ineludibile invito, quello di saper progettare il nostro futuro con sapienza antica. In quanto non si può avere, (come si può spesso constatare a nostre stesse spese) un futuro senza un passato. Infatti le lezioni che ci possono venire dal passato possono divenire il punto di partenza (a volte sin anche ineludibile) su cui poter costruire il futuro. Della nostra comunità. E, quindi, in particolare, proprio il nostro stesso futuro.
1 Cfr.: P. Locaputo, Le masciare, Storie di streghe dai verbali inediti di un processo del 1582, Grafica Scisci per conto di Edilnorba srl., Conversano 1997, pp. 166, £.20.
3 Cfr. F. Iatta, Gli ‘Atti criminali’ nell’archivio diocesano di Conversano (prima puntata), in “FAX”, a. XIX, del 10 maggio 2014, p.28; Id., L’indegna condotta di un uomo di Chiesa (seconda puntata), in “FAX”, a. XIX, del 17 maggio 2014, p.23; Id., I numeri del ‘foro ecclesiastico’ conversanese (terza puntata), in “FAX”, a. XIX, del 31 maggio 2014, p. 30; Id., La condotta scandalosa di alcuni sacerdoti (quarta puntata), in “FAX”, a. XIX, del 7 giugno 2014, p.24; Id., Uomini di chiesa, 71 denunce in 311 anni (quinta puntata), in “FAX”, a. XIX, del 28 giugno 2014, p. 25; Id., Crimini, uomini di chiesa a confronto (sesta ed ultima puntata), in “FAX”, a. XIX, del 5 luglio 2014, p.24; Id., Uomini di chiesa e criminalità nel ‘600 (prima puntata), in “FAX”, a. XIX, del 17 ottobre 2015, p.22; Id., Clero, quello del Nord era meno criminale (seconda puntata), in “FAX”, a. XIX, del 24 ottobre 2015 e Id:, È possibile stabilire con certezza il numero dei processi che ha istruito il ‘foro ecclesiastico’ della diocesi conversanese? (in corso di pubblicazione in “Leggere la storia dai documenti).
4 “Colei che opera la «mascia». Veniva chiamata anche, senza particolare differenza, «strega» o «fattocchiara»”, cfr. P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op. cit. p. 154.
5 Cfr.: P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op. cit., pp.151-158.
6 “Lo stesso che «mascia», da ‘maga’ nel significato di strega”, cfr.: P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op. cit., p. 154.
7 “Operazione di carattere magico, volgarmente anche «fattura», «incanto». Deriva dalla corruzione dialettale del termine «magia»”, cfr.: P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op. cit., p. 154.
8 Per la parlata conversanese cfr.: P. Locaputo, Dizionario della parlata conversanese, collana ‘La Puglia nei documenti, n.20’, Levante editori, Bari 2010 e quindi G. Caprio, Il Conversanese. Raccolta di termini ed espressioni dialettali, Poligrafico Dehoniano, Andria 2002². I due dizionari, appena indicati, sono stati da noi tutti e due rispettivamente recensiti per cui cfr.: F. Iatta, Il dizionario della parlata conversanese, in FAX, a. XV, del 4 dicembre 2010, p.32 e Id., “Il conversanese” di Giovanni Caprio, in FAX, a. XV, del 23 ottobre 2010, p.26.
9 “Maleficio”, cfr.:., p.208, II colonna.
10 “Operazione di carattere magico, volgarmente anche «fattura», «incanto”, cfr.: P. Locaputo, Glossario in Le masciare, op. cit., p. 154.
11 “Cfr. F. S. Jatta, Aspetti ed effetti di alcuni casi di stregoneria registratisi a Conversano in epoca moderna (in corso di pubblicazione).
12 Cfr. F. S. Jatta, L’origine del toponimo Norba in ‘Nugae eruditae’ (in corso di pubblicazione).
13 Un puntuale riscontro si può ottenere compulsando il Dizionario della parlata conversanese, op. cit.
14 Cfr.: P. Locaputo, Dizionario della parlata conversanese, collana ‘La Puglia nei documenti, n.20’, Levante editori Bari 2010, €40 con numerose, preziose quanto, oggi,spesso quasi introvabili illustrazioni in b/n.
15 Cfr.: P. Locaputo, Rimembranze paesane, in “Dizionario della parlata conversanese”, op. cit., pp.509-516
16 Cfr.: P. Locaputo, Rimembranze paesane, inop. cit. pp.509-511.
17 Cfr.: P. Locaputo, Rimembranze paesane, inop. cit. pp.511-513.
18 Cfr.: P. Locaputo, Rimembranze paesane, inop. cit. pp.513-515.
19 Cfr.: P. Locaputo, Rimembranze paesane, inop. cit. pp.515-517.
20 Cfr.: P. Locaputo, C’era una volta, BookSprintEdizioni, Romagnano al Monte (SA) 2015, pp.330, € 19,50.
21 In ‘C’era una volta’ i racconti “sono raggruppati per nuclei di ispirazione” (cfr.: P. Locaputo, Premessa in “C’era una volta”, op. cit., p.7). Aprono la raccolta “i racconti ispirati ai luoghi di Conversano… preferendo angoli e strade del centro medievale” (op. cit., p.7). “Un altro gruppo è costituito da episodi in cui sono coinvolti, anche indirettamente, personaggi più o meno illustri della storia della mia città” (cfr.: op. cit., p.7).” Un capitolo a parte è dedicato ad eventi in cui, secondo miti popolari, operano forze, presenze, fenomeno irrazionali che ho complessivamente considerati propri del mondo magico dell’«occulto» (cfr.: op. cit., p.7). “L’ultimo settore comprende vicende che vedono protagonisti gli artigiani di paese” (cfr.: op. cit., p.7).
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