Recensito da Rita Alosi
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In copertina: Pier Augusto Breccia "Anima" olio su tela cm 70x50 - 2001 |
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IL MESSAGGIO POETICO DI PAOLA DEIDDA
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Di fronte al messaggio lirico di Paola Deidda non è possibile richiamare la famosa definizione di Aristotele "lo storico dice le cose accadute , il poeta quelle che potrebbero accadere , perché è in netta opposizione all'essenza stessa della sua poesia. Le molteplici tematiche di ispirazione che affiorano nel suoi versi rifiutano un parametro valutativo rigidamente univoco. Sarebbe riduttivo imbrigliare la voce poetica di Paola Deidda in un definito ma limitato schema interpretativo. Significherebbe sminuirne la genuinità del sentimento e la capacità comunicativa. Mi viene più naturale pensare all'estetica crociana, secondo cui "l'arte non ... pronuncia gli oggetti reali o immaginari, non li qualifica, non li definisce: li sente e li rappresenta." Infatti, nella lettura dei versi di Paola Deidda ciò che ti colpisce è la purezza primitiva del sentire e insieme la pudica sensibilità dell'animo. La sua voce si identifica con le voci sottili e penetranti dell'inteniorità per esprimere le immagini aspre e possenti dell'Antica terra. E' un tornare alle origini primigenie dell'animo e nello stesso tempo alle radici profonde della terra. E proprio il componimento Antica terra, che apre la raccolta, è quello che meglio condensa il messaggio poetico di Paola Deidda. Strettamente connesse sono Vento di Maestrale e Luna di Gallura, in cui l'interiorizzazione dell'elemento naturale è in una climax ascendente che culmina in Notti d'Agosto e in Risveglio e giunge alla completa identificazione nella natura e nel suo sentire con Fammi albero. Del resto, ne L'incendio, in cui sembra dominante la descrizione della furia devastatrice del fuoco, c'è una sottesa valenza spirituale che travalica il dato oggettivo; la stessa impressione suscita La prima pioggia, in cui la freschezza e levità del fenomeno si trasforma in percezione interiore. Una chiave di lettura non molto diversa offre il simbolismo di alcune immagini, che non è per nulla preziosismo di alessandrina memoria, ma diventa voce poetica naturale; così ne Il pesce addormentato l'immagine granitica sfuma dolcemente nell'eco di un sonno infantile; così la sensazione pungente de Il fico d'India si attenua in una personale confessione d'amore. Particolarmente significativo è Lu isciallu nieddhu, in cui - attraverso il simbolismo dello scialle nero e greve - sembrano aleggiare per un istante ombre di morte: ma queste sono sùbito rimosse, perché l'animo si pone al di sopra, le sovrasta. Suggestioni, memorie, sentimenti, immagini, impressioni (anche quelle più semplici di Dolcetti o quelle teneramente struggenti di Pietà di bimbi) si susseguono senza fratture in multiformi visioni. La suddivisione in tre sezioni, suggerita dalla stessa autrice, non delimita una precisa scansione, perché ogni verso è riconducibile ad un fulcro unitario di sentire, né si possono stabilire, nella successione del discorso poetico, precise categorie temporali; il presente, il passato, il futuro confluiscono in un'unica dimensione che è nella mente e nell'animo della poetessa, è nella sua esperienza, nella natura che la circonda e si proietta in un futuro che è insieme presente e passato. E tutto si fonde, come per un'antica magia, nella voce autentica di Paola Deidda. |
Rita Alosi
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Prefazione di Italo Evangelisti
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In copertina: Pier Augusto Breccia "Anima" olio su tela cm 70x50 - 2001 |
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Se per Aristotele "La Storia insegna ciò che è stato e la Poesia ciò che sarà" o che, comunque, "potrebbe e dovrebbe essere", per Paola Fanelli questo assiomatico rinvio all'utopia, questa conditio sine qua non della speranza come antidoto alla disperazione esistenziale si traduce in un godibilissimo ossimoro compositivo: coniugare i contrari per incontrare la verità. 0 meglio, imparare la verità della vita dalla “natura” e dalla “poesia”: la verità, insomma, come “natura della poesia”. Ma Paola Fanelli potrebbe anche imporci il suo gioco e rovesciare immagine e parafrasi in “poesia della natura”, tanto per ricordarci che la ricerca della realtà come verità unica ed assoluta è ingannevole, e che la verità è in fondo una maschera che trasforma e rappresenta, rivela e nasconde allo stesso tempo: per dirla con Pessoa “realtà e verità sono sempre di più e di meno di quello che vogliamo”. Per Paola Fanelli è un'isola, un’sola di emozioni. Ecco ancora la coniugazione dei contrari, le emozioni, le scoperte, gli slanci e gli abbandoni di un’isola che “isola” nel senso di separazione, ma anche di rinascita, di rifugio e di sfida: un’isola che è “orma possente/cinta dal Mar Tirreno”. Fin dall’incipit di questo appassionato dialogo con se stessa, che commuove e coinvolge per la fatica di vincere il pudore dei sentimenti segreti fino a liberarsi in canto spiegato e confessione ad alta voce, veniamo trascinati da Paola Fanelli in questa “Antica terra”, dove possiamo miracolosamente ritrovare, e ritrovarci, nei quattro elementi fondamentali della tradizione alchemica occidentale, terra-acqua-aria-fuoco, che qui acquistano una tensione ed un sapore evocativi e suggestivi. E' un recupero in poesia del candore originario, della purezza di cuore quando “Passare sotto un albero fiorito/grande la chioma, su tappeto di foglie/stringendo fiori tra le dita/fa tornare all'eden”. E’ una rinascita. Si sentono i sussulti del cuore e dei sensi, i trasalimenti dell'abbandono d'amore risvegliato ed il respiro caldo di una poesia nutrita da una sensualità sottesa ed animata da un ritmo musicale, da andante con moto, che cadenza questo diario intime, ondeggiante tra ricordi, speranze e riflessioni, tra sonetto e ballata. E’ una poesia a tratti ubriaca di vento e di salmastro, a volte tenero racconto a puntate dentro un sogno sospeso che si fa stupefatta realtà, da vivere però con disincanto e coraggio di donna, che sa “uscire dal sogno/riaffrontare la vita/fatica di ogni giorno/magia dell'essere”. Qui sta un’altra delle chiavi di lettura della poesia di Paola Fanelli: la sua capacità di riequilibrare sempre la vertigine del movimento onirico con un “raffreddamento” pragmatico, che tempra il ferro caldo dell'abbandono nell'acciaio della consapevolezza, che è appunto “la magia dell'essere”. Non, quindi, una “diminutio” di senso ma la leopardiana esigenza del “limite” quale condizione dell'infinito... “Luci ed ombre spezzano le linee/dell’infinito”. Ma torniamo all'architrave di quadrangolare valenza cosmologico/simbolica, che sostiene la struttura compositiva di questa poesia. La materia primordiale è impasto di carne e sangue per una seconda nascita. L’acqua è battesimo, la culla è il mare ... “Grembo materno/soffio di vita/in te mi cullo/mare”. Liquido amniotico e amrita, che però solo ora, solo qui hanno saputo donare il coraggio dell’bbandono; solo qui, solo ora, in queste acque di cristallo colorato, hanno favorito la nascita di una “amicizia di roccia/emersa lentamente”. La terra di questa silloge è sabbia di un approdo forse sognato e finalmente trovato, dove speranze e rimpianti sono come onde, di cui “guardo finire/il viaggio sulla riva/nel silenzio del distacco/avvolta in abbraccio d'amore”. E' una terra di massi di granito, dove sbiadiscono i ricordi lontani nel tempo, che offre ancoraggio sicuro: “Rocce vado cercando/dove ancorare il cuore”. Il fuoco è sintesi dialettica dei contrari: è fuoco devastante, che “corre senza freno/ondeggia nei liberi pascoli” e scatena la sua terribile potenza. Ma è fuoco altre volte vivificante, come il sole cocente che apre le corolle del giglio di sabbia, come quello che muta la grande acacia in “cupola d'oro e di profumo” e che sta dentro “Il fico d'India”, parafrasi d'amore profondo. Un amore che è linfa vitale del corpo e dell'anima di questa poesia. Amore che si fa, più in generale, categoria dell'essere, se lo cogliamo nel suo incontro con l'aria, l'elemento forse più invasivo di questa raccolta. Un'aria che fa respirare i versi a pieni polmoni, ma che soprattutto irrompe con l'impeto del vento, che fa del Cielo “un letto disfatto… lenzuola di nuvole/buttate qua e là/saporose di sonno”. Un vento che inebria e libera, svuota il cuore come una soffitta dei mobili inutili, dei rimpianti e dei rancori, snebbia il cervello, “soffia lontano le nubi capricciose”. Vento di maestrale, che “piega alberi/pettina cespugli/modella rocce ... le tue dita scompigliano i capelli ... io ti amo, vento maestrale”. Un vento quindi che accarezza e possiede, carico di un erotismo sano e vitale, gioioso recupero, d'innocenza e naturalità, condensato nel verso “Come canna mi piego/ con te vorrei danzare”. E, del resto, lo stesso candore disarmato e disarmante lo ritroviamo nello “Specchio delle mie brame”, che riflette con efficace parafrasi poetica la nuova immagine o, meglio, la più nascosta identità di una donna che la magia dell'isola ha riportato alla luce restituendola alla realtà ed alla verità della natura e dell'amore. La magia sta tutta dentro la riconquistata coincidenza tra “dentro” “fuori”, tra il “sentirsi” e l’”apparire”: “apparire” che non è più “sembrare”, ma più semplicemente “essere” per sé e per gli altri. Un'altra cosa che colpisce in questi versi è il particolare “sentimento del tempo”. Si ha l'impressione che Paola Fanelli voglia “isolare” anche il tempo, nel senso proprio di voler fissare le sue “Emozioni” dentro i confini protetti di un presente storico che reca con sé il passato e la memoria come bagaglio al seguito, prezioso e amato, ma sedimentato in esperienza e capace perciò di esorcizzare la nostalgia. Un presente storico che sente il futuro come la proiezione di una magica sospensione che in qualche modo sia “durata” e “tenuta” di una nuova dimensione esistenziale. Per questo la sua preghiera recita: “Calma la mia impazienza/la mia ansia, Signore”. Quest’ansia è la spia di un timore segreto: che l'impazienza rovini tutto, che tutto svanisca ad un tratto e che l'incantesimo si rompa. Altri segnali d’allarme circolano a tratti nel diario poetico di Paola Fanelli. Ombre improvvise, come quello “Scialle nero dalle frange d’ossidiana” che col suo peso “strema le spalle”, evocando fantasie di morte ed inquietudine. Ma sono ombre improvvise che non riescono ad offuscare la felice solarità del discorso poetico, ingentilito spesso anche questo va detto - da siparietti impressionistici di struggente tenerezza, come quella “Pietà di bimbi”, in processione per seppellire un falchetto morto “ai piedi del mirto grande”. O quei “Dolcetti”, di zucchero e miele, che inondano la grande casa di pietra e tutto il libro di una dolcezza in cui lo zucchero e il miele non c'entrano, ma c'entra - e molto - il miracolo d'un evento reale che “sembra una fiaba”. Ma in poesia questa differenza, lo sappiamo, non conta, non esiste. “La parola della poesia è come quella degli Dei” scriveva Eraclito, “non dice né nasconde, ma accenna e si frange in molti riflessi”. Ecco la divina ambiguità della parola poetica, il suo profetico polisensismo: ci sorride, irride, deride, lusinga ed angoscia; è una musica poikilométis colorata, ritmata, variegata, che ammicca maliziosa e chiama perentoria. Anche Paola Fanelli ci fa cenno dalle pagine di questo libro. Non ci dice a quale appuntamento stiamo andando, eppure rispondiamo all’appello ed accettiamo l’invito perché questa è la forza della poesia autentica, e quella di Paola Fanelli - credetemi - lo é. |
Italo Evangelisti
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Scheda bibliografica
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Autore |
Paola Fanelli Deidda |
Titolo |
Isola di emozioni |
Editore |
Edizioni Grafiche Manfredi s.n.c. |
Prezzo |
s.i.p. - Beneficenza UNICEF |
data pub. |
dicembre 2002 |
In vendita presso: |
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