È vero che ogni collezione d’arte vale un discorso a sé, per i tanti fattori che hanno contribuito a comporla, come pure in relazione al gusto del collezionista e al senso che ad essa si è inteso attribuire.
Artefice della raccolta che vogliamo illustrare è Lucilla Tauro, titolare della Galleria Cattedrale a Conversano, uno spazio espositivo pensato sia per accogliere artisti viventi con le loro opere, sia per ospitare una collezione permanente, pazientemente costruita intorno a delle coordinate spazio-temporali ben delineate, una selezione dei maggiori artisti pugliesi del nostro tempo, gran parte dei quali operanti nel secolo scorso, con qualche eccezione: in direzione più remota un pastello di Giuseppe De Nittis e in direzione più recente i lavori di Franco Dellerba, Iginio lurilli e altri artisti viventi delle ultime generazioni.
A un occhio pigro o sazio di tanti nomi di primo piano che vi si presentano - da Emanuele Cavalli a Mino Delle Site, da Aldo Calò a Pino Pascali, giusto per citarne qualcuno - potrebbe essere sufficiente contentarsi di quelle coordinate per dare già un senso alla raccolta; vi è invero qualcosa di più, ed è la stessa collezionista a riassumerla, sinteticamente, in un concetto: gli "artisti con la valigia".
Ecco dunque definito il senso della collezione: ma perché “artisti con la valigia”?
Quale denominatore comune, come suggerisce il titolo che è stato dato, la necessità del viaggio formativo al di fuori dei confini regionali presente nel vissuto di ciascun artista: tale aspetto costituisce il filo conduttore di _una collezione che già avrebbe un comune elemento identitario, l'appartenenza degli artisti alla cultura regionale pugliese: nati o cresciuti in Puglia, poi indotti - se non costretti - a esperienze formative altrove, necessarie nel contesto della loro produzione.
Il che porta ad avviare qualche riflessione su un fenomeno del genere, che ha contraddistinto la Puglia otto-novecentesca quale terra, come tante altre, di emigrazione artistica. Come nel periodo preunitario, anche negli ultimi decenni dell'ottocento un giovane dotato di ambizioni artistiche che desiderasse studiare o perfezionarsi nella più alta sede istituzionale per tal genere di formazione non aveva altra scelta, se nato e cresciuto in Italia meridionale, se non frequentare l’Accademia di Belle Arti di Napoli: un po' tutti i grandi protagonisti dell'ottocento pugliese passarono per l’istituto partenopeo, tra i quali Francesco Saverio Altamura, Gioacchino Toma, Francesco dell’Erba, Giuseppe De Nittis, Francesco Netti.
L’accademia in ogni caso doveva costituire il più prestigioso (ma non il solo) percorso formativo presente in Puglia nel periodo considerato. Come primo livello, da compiersi grosso modo in età adolescenziale, in alternativa o in maniera complementare, esso poteva consistere in un apprendistato presso qualche pittore o scultore locale (ma anche decoratore, ebanista o scalpellino), ovvero nella frequentazione di una scuola artistica industriale, cioè un istituto di formazione per le arti cosiddette “applicate”, di dove uscivano valenti artigiani, ebanisti, scalpellini, decoratori, e così via. Non ne mancavano nei maggiori centri della regione, molte delle quali fondate da artisti - come nei casi di Enrico Castellaneta a Gioia, di Alberto Testi a Foggia o di Agesilao Flora a Gallipoli - decisi a creare degli istituti scolastici utili al progresso sociale della propria comunità.
Il secondo livello, terminato l’apprendistato o conseguito il diploma, era costituito dalla frequentazione di un’accademia (a Napoli o altrove), o necessariamente del suo ambente in ogni caso parliamo di situazioni estranee al territorio pugliese, dove fino alla seconda metà del secolo scorso non esistevano istituti del genere: l’Accademia di Lecce nasce infatti solo nel 1960, quelle di Foggia e Bari nel 1970. Gli artisti della collezione Tauro, a seconda del quadro generazionale durante il quale si sono trovati a operare, hanno in ogni caso sentito l’esigenza di guardare altrove, al di fuori del contesto regionale di provenienza: indice sia della consapevolezza di un’insufficienza strutturale nell'offerta culturale e formativa del proprio territorio e sia della personale ambizione ad affermarsi in ambienti artisticamente più vivaci e forieri di maggiori opportunità di successo, come i maggiori centri dell’arte contemporanea, tra Italia ed Europa, mete da lunga data di generazioni di artisti accorsi in cerca di fortuna: Napoli, appunto, dove si sono diretti i più, tra cui Notte, Casciaro, Ciardo, Striccoli; Roma, pensiamo tra gli altri a Cavalli, Pascali, Carrino; Milano, con Cantatore, Speranza, Zaza; Firenze, con Martinelli e Bucci; Parigi infine, tappa quasi obbligata per un artista dell’Otto e Novecento e, a cominciare da De Nittis, meta di transito e di soggiorni più o meno lunghi di alcuni degli autori presenti in collezione.
Per molti di loro poi, a un certo punto della propria vita, il ritorno in patria, come a chiusura di un cerchio, significanza di un legame mantenuto sempre vivo con le radici, con il genius loci che anche in maniera sottile, o invisibile o solo a livello spirituale ne ha condizionato il vissuto e soprattutto la produzione artistica: a testimoniare, insomma, il peso specifico che può ancora detenere - e a tutt’oggi - l’elemento identitario territoriale nel più ampio e globalizzato contesto dell'arte del nostro tempo.
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