Presentazione di Andrea Fanelli
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Publio Virgilio Marone Traduzione e Commento
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Appare postuma, ad un anno dalla morte, la traduzione dell'Eneide di Giovanni Caprio. Ad essa si era accinto con trepidazione, ma anche con segreta ambizione, con umiltà ma anche con fiera determinazione già verso la metà degli anni '70, consapevole delle non lievi difficoltà cui va incontro chiunque voglia non riprodurre la lettera, ma esprimere l'intrinseca e profonda verità del capolavoro virgiliano. Si era finalmente deciso alla pubblicazione dopo aver sollecitato intorno al suo lavoro l'attenzione di pochi lettori, in qualche caso anche assai giovani come gli allievi di alcune classi del Liceo-Ginnasio "D. Morea" di Conversano. Turbato dalla rozza insipienza di chi aveva in animo di cancellare l'Eneide dai curricoli della scuola secondaria, in questi termini manifestava il suo risentimento nella lirica A Virgilio scacciato dalla scuola, successivamente pubblicata nella raccolta "lo così e così":
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Affonderà nel buio, si, lo penso, il povero lavoro, il diseguale, omaggio a Te, che sei, tra i grandi, immenso, ed ora al bando: ah, fossi un tuo rivale! A che prò lamentarsi? non ha senso, quest'oggi: certo, il mio il tuo non vale; ché sono, l'uno e l'altro, il raro e il denso: il mio è "Mio", e il tuo è "Universale". Vai con Manzoni e Omero, e anche ti lagni? Si va, si viene; c'è chi nasce e muore: tra dieci anni, vedrai, tocca al tuo Dante (son laici, illuminati; e ne fan tante). Vi sposterete senza far rumore, non come loro: Voi, "Spiriti magni".
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Convinto assertore, quindi, dell'ingente valore dell'Eneide, ne era rimasto affascinato sin dai primi anni della secondaria, quando era in auge la versione di Annibal Caro e ne aveva ricevuto, insieme con la diretta conoscenza del testo latino, una feconda suggestione, tanto da scoprire in sé un'attitudine alla versificazione dando inizio a quel lungo tirocinio metrico e stilistico - ricordava spesso di aver composto in età giovanile più di venticinquemila versi - che l'avrebbe poi spinto a cimentarsi in un'impresa assai ardua e laboriosa. Si provò inizialmente con la traduzione del libro IV in endecasillabi sciolti, cui seguì a poco a poco quella di tutti gli altri nel medesimo metro. É, il suo, uno stile che sa di antico e che proprio per questo può apparire ad un lettore sprovveduto una tardiva quanto nostalgica ripresa di modelli oggi poco apprezzati e dare l'impressione di un esercizio ben riuscito di stampo classicistico o neoclassicistico. E invece ad un'analisi attenta si rivela di un'attualità e di una complessità inestimabili. Era ben conscio Giovanni Caprio che la sua proposta avrebbe potuto scontrarsi con la scettica ostilità dì quanti considerano ormai la traduzione di un classico solo una mediazione divulgativa in cui il dato contenutistico oblitera le esigenze proprie dell'elaborazione formale; giudicava pertanto molte delle attuali traduzioni del testo virgiliano assai diffuse nella scuola una rinuncia alla piena "comprensione" dell'opera proprio per la loro semplificazione prosasticamente riduttiva. Si rendeva conto, d'altra parte, della non sempre fluida intelligibilità dei suoi versi di talune asperità, che a suo avviso riflettevano il denso spessore semantico e concettuale del testo latino, esito di un grande travaglio filosofico e spirituale e di una sintesi in cui non tutto poteva trovare definitiva e organica esplicazione (pensava, per esempio, al problematico porsi della condizione dell'uomo nei confronti del Fato e della divinità). Soprattutto si era proposto di realizzare, per quanto gli fosse possibile, una forte coesione nella tessitura metrica, retorica e stilistica, aliena da pedisseque corrispondenze, mirando ad un'assimilazione attendibile dell'epos virgiliano sul piano sia contenutistico che formale. Il ricorso ad un repertorio lessicale diacronicamente assai ampio, che attingesse a tutto l'arco della produzione poetica italiana, nasceva in lui dall'intento di esperire tutte le potenzialità espressive della parola, liberandola di ciò che è ormai consunto e non più capace di evocare il tono e il senso di una narrazione epica, di un'epica originalissima qual è quella di Virgilio, in cui convergono i temi, i motivi e i modi dei più diversi generi letterari. Notevole beneficio in tale direzione avrà tratto dall'appassionata ricerca nell'ambito degli studi di dialettologia, che si erano andati sempre più allargando e approfondendo, ma non erano lontani da una prima significativa sistemazione e, forse, pubblicazione. Le riflessioni sulla lingua dovevano impegnare non poco le sue energie e negli ultimi anni della vita la sua sperimentazione poetica si estendeva appunto al dialetto conversanese. Numerosi bellissimi sonetti si possono leggere nella già citata raccolta lo così e così. In essi stupisce la perizia con cui è riuscito a integrare la sua propensione alla meditazione filosofica, la varietà degli stati d'animo, delle emozioni e degli umori nell'apparente e pur viva immediatezza della parlata locale. L'elaborazione formale di questi componimenti dimostra come l'autore fosse persuaso di quanto la stratificazione delle strutture foniche, morfosintattiche e lessicali operata dal tempo consenta al poeta di disporre di più vari e duttili strumenti atti a rappresentare la molteplicità delle sue esperienze. Alla traduzione dell'Eneide Giovanni Caprio aveva pensato di far seguire un suo commento. Esso si distingue per sobrietà ed efficacia evitando cedimenti retorici e sentimentalistici e mai elude, nella sua essenzialità, interventi critici tesi a illuminare i nodi interpretativi del testo virgiliano, ma anche a dar ragione, sia pure in modo del tutto implicito o indiretto, delle proprie scelte di traduttore. Sicché tra versione e paratesto si realizza una reciprocità dalla quale tutto il lavoro trae amplificazione, dando al lettore la certezza di confrontarsi con un'opera degna di considerazione tra quante hanno onorato nel tempo il genio di Virgilio.
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Andrea Fanelli
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