"Cortese, modesto, benevolo per educazione e per indole ... Benefico quanto pio ...", così lo definisce D. A. in Poliorama pittoresco. "E quando troveremo un altro simile a lui, che dedichi tutto il suo tempo alla Patria e agli amici?", così il canonico Ignarra nel suo elogio funebre. Quest'uomo, così carico di pietas e di filantropia compassionevole e patriottica, è sorprendentemente un personaggio storico, un testimone, uno specchiato "intellettuale", un autore della vita culturale e civile della Napoli settecentesca. È Giovanni Carafa Duca di Noja! E Michele Sforza, in questa sua nuova ricerca, si cimenta a darcene un'accurata biografia, eloquente anche perché opportuna e finora unica. Ha pazientemente rilevato dati, letto e coniugato fonti e letteratura. E ci ha consegnato una vita con la puntualità del colore e del vissuto umano, le atmosfere dell'ambiente, ma anche squarci significativi della cultura del '700, del "gran secolo", cioè dell'Illuminismo. Di un mondo cioè con cui noi, oggi, abbiamo il dovere di misurarci. Il nostro "Duca" non si acconcia e adagia nel ventre molle della consueta nobiltà feudale partenopea, ma studia, vede e vive le dolorose contraddizioni della società napoletana e meridionale. Tuttavia il tumulto del presente non gli impedisce un ancoraggio a principi saldi, potremmo dire ad una bussola montesquiana e illuministica per l'orientamento dell'uomo-cittadino. "L'uomo dotato di mente ... fu creato per la sozietà ... lo bisogno fu che gli uomini da i campi alle città condusse, ... questo dunque essere debbe l'obbligo e la cura principale del buon cittadino: intendere e giovare con quanto sa e può alla Patria, in cui vive ... sendo mai sempre stato celebrato il detto di Platone nascer gli uomini nommen per sé che per la Patria di cui non debbon avere cosa più cara ...". Interessante l'auspicio del passaggio dell'uomo dai campi alla città, dalle condizioni di contadino a quelle di cittadino. La manifattura cittadina viene vista nel dibattito illuministico come unico rifugio per il pauperismo generale, ma soprattutto delle campagne. Tale fenomeno, consolidato ed endemico, impegnerà le attenzioni di grandi illuministi, come risulta dai lamenti di Beccaria sulle condizioni dei contadini e di Pietro Verri sugli stenti delle campagne e gli ozi delle città. Il fenomeno poi diventa impressionante in una città come Napoli-capitale, dagli stessi ministri illuminati di Carlo di Borbone definita città carta assorbente. Questo l'orizzonte culturale che Carafa vive e fa suo in tutto il suo intenso "cursus honorum": da Duca di Noja a Cavaliere del Seggio di Nido, Professore di Matematica e Fisica all'Università di Napoli, Gentiluomo di Camera di S. M., Colonnello del Reggimento "Bari", Fellow della Royal Society di Londra, Socio delle Accademie delle Scienze di Parigi, Londra, Pietroburgo, ecc. Gli incarichi universitari, come l'insegnamento di Ottica, non gli impediscono, ma gli stimolano la genovesiana amicizia della società colta. Entra agevolmente e ben accolto nella cerchia degli eruditi toscani. È cittadino della muratoriana e illuministica "Repubblica delle Lettere", coniuga passione antiquaria, scienze esatte ed erudizione. L'impianto cartografico della "Mappa" ne sarà il frutto conclusivo e coerente. E appunto il superamento muratoriano della "geografia dei letterati", insomma la fine del letterato puro. È l'itinerario del nuovo intellettuale del '700, su cui opportunamente Michele Sforza si sofferma. In questa simbiosi di poesia, scienza ed erudizione, presente nel Carafa, si sente l'aria propria dell'" intelligenza" illuministica, dotata insieme di respiro intellettuale e "normativo". Ed è per questo che il matematico, l'ottico, il cultore d'arte, il cartografo diventa lettore di storia: nelle monete sa leggere la storia delle città che le hanno battute, come nella carta topografica la costruzione e l'evoluzione "culturale" della società cittadina. Dunque in questo "sperimentalismo" matura la Mappa carafiana. E opera di memoria e di progetto. Sullo sfondo la razionalizzazione del territorio. Ci sono dentro studio, tecnica ed ethos. Vi si respira la lezione del Genovesi, molto sentita dal Nostro, di "mantenere l'amicizia della società, della Storia naturale e dell'agricoltura", di praticare la "teologia della natura" per poter giovare ai bisogni degli uomini. Così pure è opportuno e necessario conoscere "la storia fisica" del paese Italia" per utilizzarne le risorse e far uscire "la nazione napoletana dal torpore e dall'arretratezza". Nella cerchia del Genovesi, di cui fa parte il Carafa, la cultura esce senza mezzi termini d'accademia e, vichianamente, si fa più "platonica" e meno "monastica". Assimila quel fermento critico che, come Croce ha analiticamente illustrato, consente al letterato, al filosofo, allo scienziato, di divenire "classe intellettuale" e quindi dirigente. La Napoli attraversata da questo "fermento critico", è una Napoli élitaria, ricca di ingegni e di bellezza, che, proprio per questo, analizza criticamente la "città per caso", simile ad una casbah orientale, quale si configura nel suo orizzonte complessivo. È insomma una città piena di contraddizioni, storicamente interessante, ma che ha urgente bisogno di una grande razionalizzazione. E questa è la base del progetto, tutto illuministico, di "misurare" e "verificare" il territorio e quindi di dare salienza alla "società civile" e al suo obiettivo di "pubblica felicità". Il Carafa vede tutto questo in linea di continuità con le opere pubbliche della monarchia, di Re Carlo in particolare (piazze, strade, musei, teatri, ecc.). Questa opera riformatrice e illuminata dall'alto spinge sostanzialmente verso la rottura con il parassitismo metropolitano, con quelle vecchie corporazioni che gestiscono con indecente arbitrio alcuni importanti servizi pubblici. Emerge a questo punto il grande problema dello stato moderno, della sua facoltà giurisdizionale e di quello che poi sarà lo stato di diritto. Il Carafa sta su questa linea, ma, è chiaro, sta nei limiti del suo tempo e della sua opera. Ad animare questo suo progetto riformatore è l'idea attiva di "Patria". A suo sostegno effettivo sta la Monarchia. Patria e Monarchia insistono sul territorio, lo riclassificano, lo fanno uscire dal mito e lo fanno soggetto di storia, proprio perché, ora lo si può capire bene, "la città è un prodotto dell'uomo e non deve mai sfuggire al suo controllo". La città di Napoli, che può essere un paradigma del Sud, è e rimane ricca di contraddizioni anche amare: città dei lumi e della "Mappa" carafiana, ma anche luogo di illegalità diffusa e spesso sentita come "naturale" e fonte di ingegnosi adattamenti. La città della Mappa "dev'essere invece ordinata e capace di influenzare l'animo ed il comportamento dei cittadini", di coniugare bellezza e funzionalità amministrativa, storia ed economia, ed ancora, illuministicamente, virtù e ricchezza. Attraverso la dinamica di queste dicotomie comincia a formarsi l'idea del buon governo. La Mappa del Carafa, un vero monumento cartografico, anche iconograficamente attraente, si situa in questo contesto motivazionale e culturale. È un'opera tecnica e storica insieme. L'autore vi ha impegnato tutta la sua passione intellettuale e civile. Vi ha lavorato con alta manualità, servendosi della Tavoletta pretoriana, col contributo di una schiera di tecnici prestigiosi. Ne è risultato un "capolavoro della cartografia del Settecento non solo napoletano" (Rotili), "il miglior ritratto ancor oggi esistente della città di Napoli a metà del secolo" (Venturi). Questa Mappa diventa pure una fonte catastale precisa, nella prospettiva di una riclassificazione delle ricchezze e dei patrimoni e quindi di una loro mobilità. Questo poi è il primo passo verso una tassazione più giusta, verso l'erosione prima e lo scioglimento poi della feudalità. Ma a questa soluzione politica e radicale il Carafa non arriva. Il suo rimane un riformismo moderato, limitato anche dalla sua condizione feudale. Tuttavia questa Mappa rimane un codice di lettura e di promozione della società napoletana e meridionale in una grande stagione di cultura. In questa biografia del Carafa, Michele Sforza ne percorre il complesso itinerario che va dall'immersione nel vissuto dei contemporanei ai tanti dati d'archivio e museali, agli epistolari, alla ispida "Lettura di introduzione al trattato di Ottica che professa nell'Università de' Regi Studi di Napoli", alla bella "Lettera ad un amico ...",che è come il manifesto culturale e civile dell'autore. E questo itinerario non poteva non percorrere il giudizio di grandi storici come Croce, Schipa, Venturi, Natali, De Seta, ecc. Non è quindi "storia minore", quella delle vecchie e paesane biografie. È invece un invito alla storia, così densa di pensiero e azione da costituire soprattutto un salutare argine contro l'inquietante orizzonte degli odierni costruttori del presente. Non possiamo accettare il loro mondo che, come nella poetica intuizione di Borges, è dotato solo dell'istante certo, ma è privo di nomi, di passato e di avvenire.
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