L’abbandono infantile nel XIX secolo in Terra di Bari e in Terra d’Otranto è stato da tempo oggetto di studi specialistici. Demografi, storici, sociologi, pedagogisti e altri ricercatori hanno indagato il fenomeno nei comuni urbani e rurali della nostra regione, raccogliendo dati utili a delineare la complessa storia dell’infanzia abbandonata. La ricerca degli studiosi si è interessata marginalmente della città di Conversano1, e qui risiede la ragione di questo studio, marcatamente limitato quanto a territorio, analitico sotto il profilo qualitativo e quantitativo. Esso ha privilegiato i fattori storico-antropologici e socio-economici per aderire soprattutto alla demografia storica, che non tralascia di considerare comportamenti, mentalità e scelte di uomini e donne, la cui vita è profondamente condizionata dalla lotta per la sopravvivenza. I Registri degli Atti Civili, i Registri dei Battezzati, i Libri delle Sepolture, i documenti di vari archivi e le corrispondenze di Opere Pie fanno parte dei materiali consultati. Questi, al di là di nomi e di numeri, di andamenti e flessioni, di natalità e mortalità, hanno portato in superficie storie di donne sventurate e di neonati lasciati nella ruota, di alcuni dei quali è stato possibile ricostruire il percorso di vita, attingendo alle relazioni amministrative e alle ‘carte dei proietti’2. Solo un genuino interesse storico, sostenuto dal desiderio di conoscere la condizione femminile e infantile in un secolo che davvero ha aggravato la disuguaglianza sociale tra le classi, ha fatto superare la titubanza ad approfondire un tema così delicato, per le inevitabili implicazioni emotive che comporta l’addentrarsi in una storia drammatica come è quella dell’abbandono infantile. È operazione incresciosa togliere i sigilli a quelle ‘brutte’ storie, vergogna e dolore di un periodo nel quale l’estrema precarietà della vita indeboliva qualunque legame affettivo fra i componenti il nucleo famigliare. Dopo la lettura del più antico Libro de’projetti (1804-1806), irrefrenabile è stato l’istinto di chiudere quei fogli e finirla con quelle storie disumane. Poi le voci e i volti di quei neonati, improvvidamente venuti alla luce, si sono trasformati in immagini dolenti, a testimoniare quanto possa essere crudele la lotteria della vita. In ogni tempo e in ogni luogo, il caso vuole che alcuni nascano amati e ‘legittimi’, altri poveri e ‘proietti’. E tante creature furono deposte nel freddo ventre di una ruota, senza una veste, un nome, una famiglia. Nel tempo, dall’analisi è emerso che non tutti gli abbandoni erano dettati da indifferenza; essi rappresentavano per la donna sola, l’unico modo per allontanare dalla società il frutto di una relazione disonorevole, e, per le famiglie indigenti, l’unico modo per sottrarre i piccoli ad una vita di stenti e a morte sicura. Povertà e falso moralismo spingevano a quell’azione dolorosa. Rimuovere, nascondere il frutto della colpa, questo voleva il diffuso conformismo ottocentesco e, dunque, l’abbandono era accettato, perché si doveva ripristinare l’equilibrio sociale infranto dalla presenza di quel corpo estraneo. Era un insulto alla società che la madre tenesse presso di sé un bastardo. Il capillare e sistematico spoglio ha prodotto un dato confortante: figli di nessuno e figli legittimi venivano abbandonati o morivano per le stesse cause e, in percentuale, sopravvivevano più o meno in egual numero. Il ritrovare negli atti di nascita i nomi di figli di ignoti, che, a distanza di vent’anni circa, dichiarano la nascita della propria prole legittima, ha confermato che nella nostra città, nonostante l’avverso contesto ambientale, molti figli di nessuno sono entrati a far parte legittimamente del consorzio civile. Altrettanto confortante è stato ritrovare i nomi di balie e di levatrici, figlie di genitori ignoti, che si offrono di allattare, allevare e curare i neonati di ignota provenienza. Un taglio storico-sociale e demografico, dunque, per questo studio, che, con tabelle, grafici, percentuali, dà obiettività e organicità a una narrazione che coniuga dati e fatti. I risultati raggiunti non modificano per nulla i dati complessivi del fenomeno nella nostra regione, pure possono contribuire a confermare gli elementi di conoscenza già acquisiti. Attraverso i documenti, sono stati delineati la società conversanese d’inizio secolo, le modalità con cui si sono istituzionalizzate le strutture preposte a regolamentare l’esposizione, l’iter seguito dall’ignoto, dall’immissione nella ruota al baliatico, all’inserimento nei reclusori, all’affido, al riconoscimento, alla legittimazione. Spazi di approfondimento sono stati riservati all’onomastica, al vestiario, ai viglietti, segni di identità lasciati tra le fasce dei neonati dai genitori che li abbandonavano. Fondamentali le pagine dedicate al mondo femminile, fatto di madri, levatrici, pie ricevitrici e balie, figure centrali del fenomeno abbandono, su cui nel tempo si sono addensate molte ombre, perché, tra di loro, si insinuavano donne venali, immorali e amorali che stabilivano una rete di connivenze e di complicità di cui spesso erano vittime proprio i neonati. Donne che, rifiutando la maternità, non arretravano neppure davanti a crimini atroci. A temperare le immagini odiose di queste donne, modelli negativi di una società che si dichiarava filantropica, altre donne che chiedevano gli ignoti in affido, sostituivano le madri naturali e li accompagnavano fino alla maggiore età curandoli ed educandoli come veri figli. La narrazione non ha il tono asettico e distaccato di un testo scientifico; è stato impossibile farlo per il rapporto ‘sentimentale’ che si è stabilito con i protagonisti, dei quali sono stati raccontati dettagli forti e dettagli insignificanti, ugualmente importanti per andare in profondità, alle radici del fenomeno della ‘esposizione’.
1 Si trovano riferimenti di carattere demografico in Da Molin 2002.
2 Va precisato che in questa ricerca i nomi proietto, esposto, illegittimo, trovatello sono usati indistintamente. Il problema se questi termini riferiti alla condizione d’origine o alla filiazione siano o no una categoria assimilabile è oggetto di studio della demografia sociale. In merito si rimanda al saggio di Livi Bacci 1980.
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