Come ricordava Pasquale Saraceno, eventi straordinari, come guerra, terremoti o emergenze sanitarie aumentano i fattori di incertezza, e tutto ciò «non si svolge lungo un arco che ci riporterà, sia pure attraverso una crisi, al punto di partenza, ma secondo una direttrice che ce ne allontana sempre più, senza possibilità di ritorno né di riavvicinamento alle situazioni del passato e con un ritmo più veloce di quello che avremmo avuto se tali eventi non fossero intervenuti».
Nel pendolo della storia, pandemie, conflitti e calamità naturali (terremoti, alluvioni, invasioni di cavallette etc.), si verificano ciclicamente, producendo effetti sempre diversi che vanno ricondotti nella loro cornice storica e che devono essere apprezzati nei loro effetti sul cammino dell’umanità attraverso le lenti della riflessione storico-sociale. Percepite come punizioni divine capaci di modificare l’ambiente, di influenzare comportamenti, strategie politiche e dinamiche socio-economiche, ma anche di sollecitarne rigenerazione e rinnovamento, le pandemie devono essere, tuttavia, considerate nella loro complessità e quindi rilette attraverso la loro capacità di incidere sulla mentalità, sulla socialità, sulla demografia e sull’economia per le carestie e la disarticolazione del sistema di comunicazioni e relazioni che ne seguono.
La drammatica esperienza della pandemia da coronavirus (Covid-19) che ha colpito duramente l’umanità negli ultimi due anni costituisce il “pretesto” per Pietro Dalena, studioso di grande lavoro e professore ordinario di Storia medievale presso l’Università della Calabria-Cosenza, che ripercorre la storia del Mezzogiorno medievale tra la peste giustinianea (VI sec.) e la peste nera (XIV sec.).
Nel volume che ho l’onore di presentare, l’Autore, con profondità di analisi, documenta le più significative pandemie (nel Medioevo genericamente chiamate pestilenze) e ne coglie l’impatto sulle dinamiche sociali ed economiche, nell'arco di tempo e nei territori considerati, e con esse decadenze e rinascite, stagnazioni, sedimentazioni etno-culturali, spinte regressive e innovative.
Nei capitoli che si susseguono, temi ambientali e istituzionali sono selezionati per importanza e funzionalità nell’economia dell’analisi storica di alcune civiltà (longobarda, bizantina, normanna e sveva) che dalle pandemie e dalle malattie endemiche hanno subito condizionamenti.
Sulla base dei documenti superstiti, F Autore fissa e sviluppa i termini post quem e ante quem della storia del Mezzogiorno medievale tra la peste di Giustiniano e la peste nera (dalla metà del VI alla metà del XIV secolo), entrambe importate dall’Oriente. In questo tempo di lunga durata si collocano decisive rotture delle dinamiche civili seguite da lente rinascite sociali e rinnovamenti politici, nonostante le dannose malattie endemiche (malariche, tifoidee e fuoco di Sant’Antonio) che ne condizionavano la vita sociale e le attività politiche, economiche e religiose. Lo dimostra sufficientemente la parabola degli assetti viari, che, congelati nella loro regressione sino al X secolo, cominciano ad avere un lento sviluppo territoriale per l’attività monastica, suscitando poi interesse politico quando la monarchia normanna (Ruggero II) acquista coscienza della sua importanza per le strategie militari e per lo sviluppo economico, sociale e culturale del regno. Del resto le conseguenze dannose della crisi pandemica del VI secolo, durata mezzo secolo e ripresentatasi ciclicamente sino alla metà dell’VIII secolo, si avvertono sino alla fine del X secolo soprattutto nella stasi del calo demografico associato alla scomparsa di numerose diocesi e nella mancanza di manutenzione della rete viaria che via via viene sovrastata dalla vegetazione e disarticolata per effetto di smottamenti e alluvioni.
In questo schema i differenti tasselli tematici si scompongono e ricompongono in un puzzle apparentemente disorganico, ma legato da aspetti pregnanti di civiltà che dimostrano una singolare vitalità quando non sono condizionati dalle pandemie. Dalena nel costruire il modulo storiografico arriva a proporre una lettura strutturale dell'ambiente, una histoire à part entière, sul modello della migliore storiografia francese, che tiene presente tutti i differenti aspetti della fenomenologia euristica e metodologica proponibile: dal piano “evenemenziale” (cioè dall’esposizione dei “fatti”, che non sono riducibili a semplici “eventi”) a quello della lunga durata, dalla storia dell’ambiente a quella delle strutture materiali dell’economia e della società (in particolare nelle componenti viarie), dalle vicende politiche a quelle istituzionali, dalle tradizioni ai costumi locali.
Le malattie pandemiche rappresentano un forte elemento di rottura e di discontinuità nel cammino delle civiltà. Pertanto, in un gioco di luci e ombre, sono colte e rappresentate le ragioni della “storia spezzata”, della cesura tra tardoantico e medioevo, che più che alle esiziali devastazioni della guerra greco-gotica e dell’invasione longobarda (che pure sono rilevanti ma perimetrate nel tempo e nello spazio) Dalena fa risalire soprattutto agli effetti durevoli della pandemia di Giustiniano che nel Mezzogiorno d’Italia indusse un lungo processo di regressione civile e di stagnazione demografica e culturale. Del resto la “rottura” con la civiltà romana non produsse cambiamenti almeno sino al VII secolo se ne vennero preservati diritto, lingua e schema stradale.
Solo all’alba del secondo millennio un insieme di concause (miglioramenti climatici, crescita demografica, incremento degli scambi, riduzione delle pandemie a fenomeni endemici, progresso della medicina officinale i cui approcci di diagnosi e cura poi vennero codificati dalla Scuola medica salernitana) portò allo sviluppo di un nuovo tipo di economia, di dinamiche sociali, di ripartizione della proprietà e del lavoro che ebbe un immediato riscontro nella crescita dei centri urbani che, dalla fine del X secolo, si avverte maggiormente in quelle poste lungo le grandi vie di comunicazione terrestre o fluviale o marittima. Ma, poiché una città cresce in modo funzionale rispetto a un territorio, non tutti i centri urbani medievali hanno la stessa fortuna. E nel Mezzogiorno cresce anche la campagna che, quando non investita da ragioni pandemiche, si impone sulla città per impulso dei monachesimi greco e latino.
Il segno del cambiamento, sul piano politico, sociale e istituzionale, è dato, con la conquista normanna (che venne favorita pure dall’epidemia di peste che colpì la popolazione calabrese a metà dell’XI secolo) dalla latinizzazione della Chiesa, dall’attività manuale dell’elemento greco e dal dinamismo del monachesimo latino, dal cambiamento delle consuetudini e della condizione femminile, dalle migrazioni di popoli e dalle iniziative della feudalità, che sostituì o si sovrappose all’aristocrazia fondiaria bizantina, su cui Dalena si sofferma a lungo. E a ragione, dal momento che l’XI secolo, inutile forse ricordarlo, fu uno snodo fondamentale per la Chiesa di Roma, il cui patto di alleanza con il mondo normanno andò creando un altro elemento forte di novità rispetto alla storia precedente. Sempre restando sul tema della storia ecclesiastica, la successiva età federiciana rappresentò un nuovo momento di rigoglio, almeno sotto il profilo della nascita e della diffusione di nuovi Ordini che via via sostituirono quello benedettino: cistercensi soprattutto, poi anche francescani e domenicani. A fronte di tutto questo, il Mezzogiorno ancora fatica a uscire da una condizione di ruralità, di economia in lentissima ripresa rispetto ai secoli più difficili compresi tra VI e Vili. D’altra parte il progresso registrato sotto gli svevi e, poi, gli angioini, in particolare durante il regno di re Roberto, conobbe un’altra tragica interruzione per l’ondata di Peste Nera che colpì duramente con effetti devastanti l’Europa e il bacino mediterraneo tra 1347 e 1351.
Il merito principale del lavoro che qui si presenta risiede nella sua stratificazione, nella complessità degli eventi pandemici trattati anche in rapporto alle ricadute o meno sui costumi e sulla mentalità, sull’ambiente umano variegato che, proprio come si sottolinea nel capitolo d’apertura, sembra patire notevolmente i capricci della natura e le sue manifestazioni letali.
Una storia di differenze, di articolazioni, di sfumature, che sfocia in momenti drammatici. Una storia aspra e talvolta negata, una storia cupa eppure illuminata da straordinari squarci di luce. Non a caso il libro si chiude con la vicenda politica e umana di Federico, lo stupor mundi, che, dopo aver avviato un’epoca di rinnovamento non condizionata da importanti pandemie, nel momento cruciale del suo rapporto politico col Papato, dovendo compiere la crociata promessa si trovò a fronteggiare un’epidemia che, vera o falsa che sia, ne compromise i rapporti mostrando tutta la fragilità dell’uomo di fronte alle endemiche malattie del tempo. Del resto la sua morte, forse per malaria forse per una più banale dissenteria, dimostra quanto le malattie pandemiche o endemiche abbiano potuto condizionare la storia dell’umanità. E lo dimostra anche la morte del figlio ribelle, Enrico VII, vittima della temuta lebbra lepromatosa.
In questo lavoro, ricco e pregevole, l’Autore ha saputo canalizzare le tante esperienze scientifiche che lo hanno visto protagonista e soprattutto la robusta formazione teorica maturata anche con un costante confronto accademico. Attraverso questa breve presentazione, esprimo pertanto un vivo apprezzamento per il volume, consigliandone la lettura e lo studio e un sincero ringraziamento alla casa editrice Adda per avere voluto darlo alle stampe.