Roberto ha trentasei anni, lavora in una lavanderia a gettoni, e non riesce più a ripartire con la sua vita, da quando Ludovica, la donna che amava, è scomparsa in un incidente stradale.
Il libro racconta fin dall’inizio di come la vita di Roberto, ormai alla deriva, in seguito alla perdita del suo unico amore, faccia fatica a ripartire. Tuttavia, in seguito a una serie di incontri fortunati, pare che la situazione di stallo trovi soluzione nelle voci e nelle vite dei tanti personaggi raccontati da Simeone.
Con Camilla, un’adolescente, che porta il nome della figlia che Roberto avrebbe voluto mettere al mondo con Ludovica, ci troveremo dinanzi alla beltà e alle brutture della giovinezza. Camilla ha i capelli rosa, e non ha paura di mostrarli al mondo. È una giovane donna che scopre il sesso, la rivalsa sugli altri, la gioia di un drink, fino a vedere con i propri occhi come il nido familiare possa trasformarsi in un luogo arcigno. Violetta, sua madre, una donna venuta dalla Bielorussia, è vittima di violenza. La violenza che vive ha su il cappuccio della vergogna, delle scuse dette a mezza voce, della paura di raccontarlo agli altri, e persino di muovere un passo verso la verità e la libertà. Simeone ci parla della violenza sulle donne con uno schiaffo duro e preciso, lasciando vedere al lettore da vicino quanta paura e vergogna viva una donna vittima di tali barbarie.
L’autore sottolinea di come il covid19 e i periodi di lockdown abbiano incrementato tali cattivi fenomeni, riducendo le donne che vivevano già in una prigione velata, in una schiavitù acclamata, incapace di risolversi in una fuga. L’autore ci parla del coprifuoco che l’Italia e il mondo si sono trovati ad affrontare, della perdita dei posti di lavoro, della sfilata di bare, del virus che non conoscevamo, e di cui solo il nome faceva battere i denti. Con Violetta indagheremo come una donna possa mentire per bene di sua figlia, di come la violenza possa degenerare di volta in volta, e di come, infine, a piccoli passi, a volte un amore nuovo possa bussare alla porta, trasportando un cuore malandato in una safe zone, dove l’amore non colpisce e non prende a calci, ma cura.
La delusione e il male di Violetta può certamente essere distillata da una delle sue frasi: “Era quello che sognavi quando hai lasciato Minsk?”
Roberto e Camilla, instaureranno un rapporto significativo, quasi da padre e figlia. Il loro non sarà però un rapporto fatto di scale e ruoli, entrambi, infatti, si avvicenderanno tra responsabilità e goliardia, in vicende leggere e profonde, capaci di divertire ed incantare. Roberto diverrà una sorta di guida, verso una giovane donna, che nel suo immaginario, avrebbe potuto essere sua figlia. Le loro chiacchierate sono sincere e spavalde, non lasciano spazio all’imbarazzo, al vuoto, ai quesiti persi nel nulla. Racconteranno di sesso occasionale, di progetti per il futuro, di scuola, di amici, di morte, di vita, di violenza, e persino di rivalsa verso una vita che con entrambi è stata poco giusta, per motivi diversi. Roberto si erge a guida verso Camilla, senza mai risultare petulante, è un rapporto fatto di risate e scossoni, di alcolici e bravate, senza mai dimenticare che la vita non si spiega, ma si fa insieme.
Una delle frasi più emozionanti che Roberto dice a Camilla, infatti, è senz’altro quella che recita così: “Ama le persone e usa gli oggetti, il contrario non funziona mai”. È un rapporto dove con amore e delicatezza, l’una impara cos’è la vita attraverso l’esperienza del secondo, ritrovando in qualche misura un padre mai avuto, e l’altro, attraverso la leggerezza della prima, ritrova in qualche modo sé stesso, capace ancora di chiudere a doppia mandata per qualche giorno il dolore, affacciandosi sui tramonti e sulle lune più belle. In un rapporto speciale e paterno, dove una famiglia creata con le proprie mani, attraverso l’esigenza di volersi bene, riporta al lettore tutta la tenerezza e la voglia di ritrovarsi braccio a braccio con qualcuno che ci dica verso quale strada svoltare, e che poi venga insieme a noi.
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