La raccolta poetica “Le ragioni del cappero” nasce da minuscoli pensieri sparsi catturati da un filo d’inchiostro; sono chicchi di grandine a picchiettare la pelle, appunti presi qua e là, scintille esplose nell’auto ferma al semaforo dopo un caffè con “l’altra me”; germogli dalle pagine di quel libro che non ti abbandona neanche quando è tardi e spegni la luce; pensieri che si fanno verso nelle pause, diventando parentesi fiorite nella statica vitalità di un limone in vaso, sul balconcino della cucina, pause scandite da “assenze e presenze”, “vorrei ma non posso”, piccoli sorsi di poesia a dissetare l’arsura di stagioni talvolta troppo asciutte.

Sono riflessioni, frutto di un’indagine personale che ogni volta mi spinge a scavare tra le costole fino a toccare ciò che cerco, ad andare in profondità scegliendo spesso percorsi fuori pista, preferendo i sentieri alle autostrade, prendendomi i tempi per gustarmi un altro viaggio; e talvolta succede, che quando pensi di essere arrivata a destinazione, scopri che il percorso ti ha cambiato le domande e non ti resta che farti verso con quello che provi assecondando il flusso del tuo fiume interiore.

La poesia deve passare dall’emozione e sfociare nel distacco.

Bisogna prendere le distanze da ciò che viviamo, solo questo ci conduce ad una riflessione autentica, quella senza compromessi, che ci trasferisce nel processo evolutivo che passa per la necessaria frattura di equilibri consolidati oppure ci trattene in acque più calme dettate consapevolmente dalla conferma del pensiero corrente.

Nella riflessione risiede la vera evoluzione dell’individuo.

Da qui il mio linguaggio poetico diviene contemporaneo.

La parola ambisce ad un’intima rivoluzione: è miccia, esplosione interiore, caos, frattura del pensiero statico rendendolo dinamico nel suo scorrere, pontificando tra le sinapsi in circolo e calamitandone di nuove, evocando specchi di emozioni e creativo smarrimento.

“Le ragioni del cappero” è un bouquet selvatico di ironia e ostinata leggerezza, presagio al femminile che ci scalpita in pancia e ci rende comunque e ovunque, madri di noi stesse, contando i bottoni passando per una risata finalmente goduta e consapevole.

Un ossimoro dai capelli raccolti che si gode il tramonto sorseggiando il suo calice.