Roberto Ricci

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Roberto Ricci

Roberto Ricci
Nato a Teramo
il 27/01/1959
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Profilo professionale

 

Laureato in filosofia nell’ Università di Urbino, è docente di filosofia e storia nel Liceo Ginnasio “M.Dèlfico” di Teramo. Dottore di ricerca in Scienze sociali nella Università “G.D’Annunzio” di Chieti – Pescara, ha pure collaborato con la cattedra di metodologia delle Scienze sociali e di storia moderna della stessa Università. E’ Deputato nella Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi. Studioso dell’età moderna e contemporanea si occupa di storia della feudalità nel regno di Napoli, in particolare degli Acquaviva d’Aragona duchi d’Atri e dello”Stato” farnesiano in Abruzzo.

 

Ha curato l’edizione critica dell’opera manoscritta di Francesco Brunetti “Sacra ac profana Aprutii monumenta” (1645) (2000 – 2008), i convegni e gli atti “Il confine nel tempo, Marche e Abruzzi dalla preistoria all’Unità” in collaborazione con la Deputazione di Storia Patria per le Marche (2000) e “Lo Stato degli Acquaviva d’Aragona duchi d’Atri” (2005) promuovendo anche l’incontro di studio “L’opera di Niccolò Toppi” (2007) con l’Università “G.D’Annunzio” di Chieti – Pescara.

 

Ha svolto lavori di ricerca presso l’Istituto “L.A.Muratori” di Modena, l’Istituto “A. Cervi” di Reggio Emilia, l’Istituto di storia moderna e contemporanea di Roma.


E’ socio della Società napoletana di Storia Patria e della Società italiana per lo studio dell’età moderna.

 

Ha partecipato di recente a seminari e convegni in Italia e in Spagna sull’opera dei cardinali Francesco e Troiano Acquaviva d’Aragona, ambasciatori di Filippo V e Carlo III di Borbone, quali: “Tractas d’Utrecht” dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona e del Museo d’Historia di Catalogna (2014 ); “Los Embajadores rappresentantes de la soberanìa, garantes del equilibrio (1659 -1748 ) dell’Università Autonoma di Madrid, “Nazione napoletana nazione italiana, identità, conflitti, appartenenze da Carlo III di Borbone all’Italia del Novecento dell’Università di Salerno e della Società napoletana e della Società salernitana di Storia Patria (2015).

 

CAMPLI - Roberto Ricci, docente del Liceo Classico Delfico di Teramo, storico ed uomo della cultura tra i più apprezzati nella Regione, e non soltanto, farà parte da domani, lunedì 17 gennaio, dello staff del Ministro Patrizio Bianchi, alla Pubblica Istruzione. Addio alla scuola? “No è un incarico a tempo e non saprei quantificarne la consistenza” dichiara il Prof. Ricci, emozionato e non poco quando gli riferiamo che il titolo che daremo al servizio è “Roberto Ricci sulla scia di Settimio Costantini”.

 

“Non scherziamo, lui è un paradigma, un teramano che ha fatto la storia culturale, politica, amministrativa ed anche giornalistica, fondando il «Corriere abruzzese»“.

 

Gli scritti di maggior rilievo di Ricci Roberto

 
Ha dato alle stampe:

  •  Il cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona tra erudizione e storia, (Hatria Edizioni, Atri 2022, pp.226)

 

Note biografiche dettate dall'interessato
 
Il Cardinale Troiano Acquaviva D’Aragona
 Tra erudizione e storia
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Il Cardinale Troiano Acquaviva D’Aragona tra erudizione e storia

2 volumi con cofanetto: Formato 22,5x28,5 cm


Troiano Acquaviva d’Aragona Sabato 12 novembre 2022 nel

castello di Marchione

 

Rivolgo innanzitutto un cordiale saluto a tutti i presenti, all’Autore e all’Editore di questo libro e al padrone di casa, che ci ospita in questa occasione in questo splendido castello di Marchione, edificato nella prima metà del Settecento o forse anche prima ed utilizzato come residenza di caccia dai conti di Conversano. Ho già avuto modo di venirci un paio di volte in anni lontani, sempre in occasione di eventi culturali, e ricordo di aver potuto così conoscere il principe don Fabio Tomacelli Filomarino (1920-2003), credo ultimo discendente del celebre Casato Acquaviva d’Aragona, del quale conservo un vivo ricordo.

Sono inoltre particolarmente lieto che l’attuale circostanza mi permette di incontrare personalmente il prof. Roberto Ricci, che già conoscevo per fama in virtù dei suoi numerosi ed apprezzati studi sulla storia in età moderna degli Abruzzi, della Lunigiana e delle Marche, per limitarci solo a questi settori; una parte notevole di questa attività è riservata alle ricerche sulla feudalità nel Regno di Napoli e, ovviamente alla famiglia degli Acquaviva d’Aragona. Aggiungo che il prof. Ricci è un illustre esponente e consigliere della Deputazione Abruzzese di Storia Patria, che da alcuni anni collabora con la Società di Storia Patria per la Puglia e con altre analoghe Società del Mezzogiorno nella realizzazione di comuni progetti di ricerca. Proprio in ragione di questi impegni ci è capitato, in questi anni di Covid, di ritrovarci in fugaci riunioni telematiche.

 

In ossequio ora alle modeste funzioni di chi è incaricato della Presentazione di un libro, che a mio parere consistono sostanzialmente nell’evidenziare i principali risultati conseguiti dalla ricerca in oggetto e nell’agevolare la lettura dell’opera realizzata, credo non sia superfluo riassumere in pochissimi cenni e in via preliminare alcuni elementi di carattere generale della questione trattata. 

 

Ritengo infatti sia a tutti noto che la famiglia degli Acquaviva (cui si aggiunse l’appellativo “d’Aragona”, per concessione di re Ferdinando o Ferrante I d’Aragona) sia stata una delle maggiori Casate del regno di Napoli. Non è quindi il caso di scendere nei dettagli, molti dei quali sono magari meglio conosciuti dagli ascoltatori che da me: altrimenti sarebbe fare qualcosa di inutile o – come dicevano gli antichi – “portare vasi a Samo” o “nottole ad Atene”. Mi limito perciò ad elencare solo alcuni tra i numerosi titoli nobiliari, scegliendoli tra quelli di maggior rilievo storico, di cui furono decorati nel corso dei secoli i rappresentanti di questa Famiglia. La contea di San Flaviano e quella di Montorio furono concesse nel 1382 da Carlo III d’Angiò-Durazzo; avvenuta la distruzione di San Flaviano nel 1460 per eventi bellici, fu Giulio Antonio a fondare in una vicina zona collinare l’insediamento di Giulianova. Secondo alcuni nel 1395 o nel 1404, da parte di re Ladislao d’Angiò-Durazzo, venne concesso agli Acquaviva il titolo ducale di Atri. La contea di Conversano, formatasi in età normanna, pervenne agli Acquaviva d’Aragona nel 1456, per il matrimonio di Giulio Antonio con Caterina, figlia del potente principe di Taranto, Giovanni Antonio Orsini del Balzo. La contea e poi marchesato di Nardò, confiscata ai del Balzo, fu concessa a Belisario Acquaviva nel 1497 da re Federico I di Napoli; fu elevata a ducato da Carlo V d’Asburgo nel 1516. Termino questa lista, notevolmente abbreviata, con la concessione dei titoli di conte e poi di principe di Caserta, nel corso del secolo XVI.

 

Naturalmente sono ben consapevole che questa rapida rassegna meriterebbe molte precisazioni, in un contesto che vede una serie di contraccolpi politici e di calcolate strategie matrimoniali, con la formazione di rami collaterali; ma nel nostro caso mi sembra sufficiente un orientamento di massima. Voglio solo aggiungere qualcosa, se non altro per un dovere di ospitalità, circa la contea di Conversano, che comprendeva (con delle variabili in dipendenza dei tempi) anche i distretti di Bitetto, Bitonto, Casamassima, Cassano, Castellana, Castiglione, Gioia, Noci e Turi. Di questo potere feudale è un emblema il possente castello, già preesistente agli Acquaviva nel suo nucleo originario, al quale furono man mano aggiunte ulteriori strutture architettoniche. Tra i maggiori esponenti che si fregiarono del titolo di Conversano, mi è sufficiente citare il già menzionato Giulio Antonio, caduto nel 1481 in un agguato dei Turchi sbarcati ad Otranto; suo figlio Andrea Matteo (1481-1529), con il titolo di duca d’Atri e conte di San Flaviano abile politico e uomo d’armi, ma anche dotto umanista e partecipe alle attività dell’Accademia Pontaniana; infine Giangirolamo II (1636-1665), cui la leggenda nera affibbiò l’appellativo di “Guercio delle Puglie”, ma che fu uno dei più potenti feudatari dell’epoca e valoroso guerriero, oltre che fondatore di Alberobello. Al suo mecenatismo si devono le dieci grandi tele del pittore napoletano Paolo Finoglio, raffiguranti episodi della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso.

 

Numerosi furono gli esponenti del Casato degli Acquaviva d’Aragona anche nell’ambito delle alte gerarchie ecclesiastiche, tra cui parecchi cardinali. Tra quelli immediatamente precedenti il cardinal Troiano, troviamo i due Ottavi: il primo, creato cardinale da papa Gregorio XIV nel 1591 e nominato arcivescovo di Napoli nel 1605 da papa Leone XI; il secondo, che ottenne la porpora da papa Innocenzo X nel 1654 e che fu Ufficiale Relatore del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, morendo nel 1674. Particolare importanza ai nostri fini è il cardinalato di Francesco, nominato da Clemente XI nel 1706 con il titolo di San Bartolomeo all’Isola, che cambiò nel 1709 con quello di Santa Cecilia, la basilica romana di cui promosse il restauro e l’ampliamento e dove volle essere sepolto come altri membri della sua famiglia. Privato dei suoi benefici ecclesiastici dopo la conquista austriaca del Regno di Napoli, ne fu ricompensato dal re di Spagna Filippo V, di cui fu sempre fedelissimo sostenitore, come suo ambasciatore presso la Santa Sede e con altre importanti cariche. Morì nel 1725.

 

Ho evidenziato questi aspetti, perché si riscontrano anche nella biografia di suo nipote Troiano, ricostruita con grande acribia e – direi – appassionato impegno. A questo personaggio, sicuramente di grande rilievo nella vita ecclesiastica e politica della prima metà del Settecento è appunto dedicato il libro del prof. Ricci, il quale vi ha evidentemente trasfuso i risultati di una ricerca attentamente programmata e rielaborata nella prospettiva di una trattazione la più completa ed esauriente possibile. Vorrei subito osservare che questo libro (e non credo che sia una annotazione poco significativa) ha una veste grafica molto elegante e gradevole dal punto di vista estetico, quasi a rievocare – per così dire – i fasti di un porporato che si era imposto all’attenzione della società coeva, soprattutto a Roma, per i successi conseguiti, i rapporti interpersonali coltivati nelle alte sfere dei poteri dell’epoca e con esponenti di fama delle èlites culturali, oltre che per lo stile di vita, consono al suo rango. Aggiungo che a caratterizzare questo volume contribuisce anche l’abbondanza e la qualità dell’apparato iconografico, costituito dalla riproduzione di stampe, incisioni, pitture e foto. Questo apparato, è bene sottolinearlo subito, non è solo esornativo, che anzi risulta come un aspetto abbastanza secondario, ma costituisce per così dire un dossier documentario, che si affianca ed integra molto efficacemente le testimonianze scritte.

 

A proposito di queste ultime, il loro serrato ed appropriato utilizzo in riferimento ad ogni elemento della trattazione permette di ipotizzare una indagine archivistica estremamente approfondita ed a vasto raggio, come attesta anche l’elenco degli archivi, delle biblioteche e dei musei frequentati, da quelli più importanti di Roma, di Napoli e della Spagna ai meno noti (da Parma ad Atri, da Fermo a Monreale, ad esempio); forse mancano solo i materiali andati per cause varie irrimediabilmente perduti, ma ogni studioso di storia riesce in qualche modo, con prudenza ed esperienza a colmare le inevitabili lacune. È infine quasi superfluo evidenziare la continua ed attenta utilizzazione della letteratura storica di una qualche validità, a cominciare da quella più remota nel tempo alla più recente, come necessario per valutare l’attendibilità di ogni ipotesi interpretativa. Ovviamente tutta questa sostanziosa base erudita (fonti documentarie, letterarie, iconografiche ecc.) spiega ed accredita le ragioni del discorso, ma non si piega facilmente alle esigenze di un facile e spesso superficiale divulgazione; essa anzi richiede un impegno costante da parte del lettore, cui d’altro canto sono offerti tutti i mezzi per possibili riscontri ed ulteriori approfondimenti.    

 

Riguardo alla sua struttura, il libro è costituito da una Introduzione dell’A., da tre capitoli, dalle Conclusioni, da un’Appendice e da una corposa Bibliografia; non manca neppure, all’inizio del volume, una composizione poetica di Torquato Tasso del 1592 (In loda de la famiglia Acquaviva). Ovviamente mi limiterò solo a pochi cenni ed all’essenziale, seguendo le tappe principali del percorso tracciato dall’Autore. L’Introduzione si apre con un ampio excursus sulla basilica di Santa Cecilia in Trastevere, con le sue opere d’arte e le testimonianze monumentali, che ne fanno – per così dire – il Pantheon degli Acquaviva, con le tombe dei quattro cardinali, del duca Giovan Girolamo II e di altri componenti della famiglia, in linea ideale (come si esprime l’A.) con la Cappella detta di S. Anna nella cattedrale di Atri. In rapporto al cardinal Troiano è riportata un pregnante ritratto, ricco di spunti interpretativi ancora in parte da sciogliere, compilato da Pompeo Litta, che nel suo libro sulle Famiglie celebri italiane. Acquaviva di Napoli del 1843, lo definisce «un cardinal filosofo».

 

Passando ora al primo capitolo, troviamo la minuziosa disamina di un’opera che costituisce un contributo fondamentale nella storiografia acquaviviana nel contesto della pubblicistica erudita settecentesca. Ci si riferisce alla Istoria della famiglia Reale Acquaviva d’Aragona di Baldassare Storace, edita nel 1738, che viene messa a confronto con l’opera analoga redatta da Nicola Sorricchio (Atri, 1710-1785), anch’egli impegnato nella ricerca storica sugli Acquaviva e, in particolare, dei duchi di Atri, ai cui archivi poté liberamente attingere. Di Sorricchio restano 13 volumi manoscritti ed uno a stampa, di grande importanza per la storia di Atri e dell’Abruzzo teramano. Dall’esame comparato tra l’Istoria di Storace, che si traduce in una esaltazione del protagonismo diplomatico e politico del cardinal Troiano, e gli Annali di Sorricchio emergono differenze sostanziali di carattere storiografico, caratterizzandosi la prima come storia genealogica ed apologetica dei duchi di Atri, o la seconda imperniata sulle «prove di nobiltà degli Acquaviva» e che si basa con maggiore e più completa attenzione sulla documentazione tratta dagli archivi ducali di Napoli e di Atri. Entrambi tuttavia si inseriscono in una comune linea di ricerca, che si collega alle risultanze deducibili da una serie di opere di altri studiosi e che finisce per apportare nuovi elementi di comprensione della storia del Regno di Napoli e degli antichi stati italiani, facendo inoltre riaffiorare l’esistenza di una complessa dinamica nei rapporti tra centri e periferie. Un notevole interesse suscita inoltre l’introduzione nel 1744 alla terza edizione della Scienza nuova di Giambattista Vico, il cui testo viene integralmente riprodotto in forma anastatica. La dedica di Vico al cardinale Troiano Acquaviva non deve essere quindi considerata, osserva il prof. Ricci, solo come un ossequio di circostanza secondo lo stile dell’epoca, ma propone elementi di novità e fecondi parallelismi, che evidenziano l’importanza dell’attività pubblica del cardinale sia all’interno del collegio cardinalizio sia nell’individuazione di momenti cruciali della storia del regno di Napoli.

 

Il secondo capitolo del libro è riservato alla ricostruzione della biografia del cardinal Troiano, nato nel 1695 nel palazzo ducale di Giulianova dal duca d’Atri Giovan Girolamo II e da Eleonora Cecilia Spinelli dei principi di Tarsìa. Trasferitosi con il padre a Roma nel 1708, intraprese la carriera ecclesiastica sotto la protezione di suo zio, il cardinal Francesco, che portò la sua famiglia ad una scelta definitiva filoborbonica. Il prof. Ricci ricostruisce e puntualizza le tappe dell’attività del nostro personaggio sulla base di una fitta serie di documenti, in quella che può essere definita una vera e propria carriera ispano-italiana.  Fu ben presto al sevizio di vari papi: di Clemente XI nel 1712, che lo inviò in Spagna per la nomina dell’arcivescovo di Siviglia; di Innocenzo XIII, quale vicelegato pontificio a Ferrara e Bologna (1721) e poi come governatore di Ancona (1724); di Benedetto XIII, che lo consacrò arcivescovo titolare di Làrissa e che lo richiamò a Roma come suo maggiordomo o maestro di camera, carica in cui fu riconfermato nel 1730 da papa Clemente XII. Fu quest’ultimo a conferirgli nel 1732 la porpora cardinalizia, con il titolo dei Santi Quirico e Giulitta, che l’anno seguente ottenne di cambiare con quello di Santa Cecilia.

Proprio a partire dal 1732 Carlo di Borbone, il futuro re di Napoli, cominciò ad affidargli delicati incarichi diplomatici presso la Santa Sede, anche se non ancora a titolo ufficiale. Per mezzo di Troiano, Carlo ottenne il permesso di Clemente XII ad attraversare con il suo esercito i domini pontifici, nella spedizione che gli avrebbe permesso la conquista del Regno di Napoli. A conquista avvenuta, nel 1734, fu invitato dalla nuova corte napoletana ad assistere, quale legato pontificio, alla cerimonia di incoronazione. Poco dopo si recò a Madrid, da cui tornò nel 1735 a Roma, dove si insediò nel palazzo di Spagna, per continuare a curare gli interessi del re di Napoli. Costretto nel 1736 a trasferirsi a Napoli per alcuni mesi, a causa delle frizioni provocate dallo scoppio di moti antispagnoli, rientrò a Roma per attendere alle trattative finalizzate alla stipula di un concordato con la Spagna, nel 1737, e con il Regno di Napoli, giunto a conclusione solo nel 1741.

 

Tra gli altri incarichi svolti in questo periodo, si annovera la concessione della dispensa da parte di papa Clemente XII, nel 1737, per le nozze tra Carlo di Borbone e la giovanissima Maria Amalia di Sassonia, che l’anno seguente provvide ad accompagnare personalmente nel tragitto da Rovigo a Gaeta. Ancora, sempre nel 1738, ottenne per Carlo la bolla pontificia di investitura del Regno, così come organizzava a Roma feste di straordinaria suntuosità per la presentazione dell’omaggio della Chinea, una cerimonia da lui fortemente voluta nonostante l‘opposizione del ministro Bernardo Tanucci. Il 1° luglio di quel medesimo 1738, re Carlo gli conferiva il titolo di cardinale “protettore” del regno di Napoli e di Sicilia all’interno del Sacro Collegio, oltre che la rappresentanza ufficiale della corte di Napoli presso la Santa Sede; lo insigniva inoltre dell’Ordine cavalleresco di San Gennaro, considerato pari per dignità al Toson d’Oro. Anche il re di Spagna, Filippo V, gli assegnava munifici benefici ecclesiastici, cui fece aggiungere nel 1739, esercitando adeguate pressioni su Roma, l’arcivescovado di Monreale, dotato di rendite ancora più cospicue. Consigliere molto ascoltato di papa Benedetto XIV, alla cui elezione aveva molto contribuito nel conclave del 1740, continuò ad interporre i suoi preziosi uffici al servizio di Carlo di Borbone e quale mediatore degli interessi della Chiesa nei confronti del re di Napoli durante la guerra di successione austriaca. Dall’aprile 1743 fu cardinale protettore di Spagna; dal 3 febbraio 1744 al 25 gennaio 1745 fu camerlengo del Sacro Collegio dei cardinali. A ciò si aggiungevano le cariche laiche, dato che nel 1745, alla morte del fratello Domenico, acquisiva il titolo di XVIII duca d’Atri. Nel 1746 otteneva la nomina del suo protetto, Giovanni Fogliani, quale primo ministro del governo napoletano.

 

Con la crescita della sua autorità, divenne molto influente a Roma, dove tenne uno sfarzoso tenore di vita. Le varie protettorìe a lui attribuite e, in particolare, quelle che ne facevano il rappresentante del re di Spagna e di Napoli a Roma, ne imponevano atti di munificenza, funzionali al prestigio acquisito. A titolo di esempio, oltre alla cerimonia già ricordata della Chinea, il cardinale fece organizzare nel 1738 una straordinaria «macchina da fuoco artificiata» in piazza di Spagna, per festeggiare le nozze di Carlo III di Borbone con Maria Amalia di Sassonia. Nel 1744 fu tra i principali protagonisti, in occasione della visita di Carlo III a papa Benedetto XIV, raffigurata in una tela del Museo Nazionale di Capodimonte.  Per un certo periodo, dal 1733 al 1734, protesse Giacomo Casanova, allora a Roma; nel 1745 fece da intermediario nei rapporti epistolari intercorsi tra Benedetto XIV e Voltaire. In breve, tutta la fitta rete delle attività svolte e dei rapporti intrattenuti con molte delle più importanti personalità dei suoi tempi vengono portate alla luce da una capillare rivisitazione della corrispondenza e delle relazioni ufficiali. Il cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona moriva il 20 marzo 1747; fu sepolto accanto ai sepolcri dei suoi genitori nella basilica di Santa Cecilia in Trastevere.    

 

Una sintesi eloquente e dettagliata della vita del cardinal Troiano è sicuramente riconoscibile nel suo testamento, redatto il 12 novembre 1746, integrato da un codicillo del 20 gennaio1747. Ad esso si può aggiungere, a guisa di naturale complemento, l’elenco dei beni conservati soprattutto nella sede dell’ambasciata a palazzo di Spagna a Roma. Entrambi i testi sono in larga parte trascritti nel capitolo III del libro e permettono di meglio conoscere non solo la magnificenza e gli interessi personali del cardinale, ma anche percepire più direttamente la vastità della sua azione pubblica. L’elenco dei beni, in particolare, si articola in special modo sulla biblioteca, la quadreria e le suppellettili. Un esame analitico delle singole “voci” può rivelarsi molto utile per la storia culturale ed artistica dell’epoca, soprattutto se si riuscirà a selezionare – come osserva il prof. Ricci – la “stratificazione” e composizione dei singoli elementi. In sintesi, attraverso la personalità complessa e talvolta enigmatica del cardinal Troiano, emergono il ruolo svolto dal cardinalato della Chiesa in età moderna e i suoi rapporti con l’aristocrazia d’antico regime.

 

In Appendice, è trascritto il testo di un Discorso sopra l’origine / della Famiglia Acquaviva / Reale d’Aragona / recitato in Macerata il 5 ottobre / 1769 nell’Accademia / tenuta in casa de’ / l Sig. Bartolomeo Mozzi. L’argomento prevalente è l’origine del Casato, che si sostiene debba essere riferito al castello di Acquaviva nelle Marche.

 

Le Conclusioni dell’Autore di questo libro esprimono l’idea che la personalità del cardinale Troiano Acquaviva d’Aragona debba essere meglio collocata nel contesto coevo, soprattutto in riferimento alla progressiva affermazione dei regni borbonici di Francia e di Spagna in Europa, oltre che per quanto riguarda la nascita del regno di Carlo III a Napoli. A ciò si aggiunge il ruolo svolto dai cardinali Protettori delle Nazioni all’interno del Sacro Collegio. In particolare, le testimonianze che ci sono pervenute permettono il recupero di interessanti riscontri circa gli intrecci parentali delle Grandi Famiglie dell’aristocrazia italiana e delle influenze esercitate sulle vicende politiche e culturali coeve. Pur nella diversità delle circostanze e delle diverse fasi storiche, non sembrerebbe azzardato un paragone del nostro cardinale Acquaviva con quelle più celebri, ma non dissimili, di Richelieu e Mazzarino. Agli storici dunque resta il diritto e il dovere di un equo giudizio.  

 

Castello di Marchione, 12 novembre 2022                   

Prof. Pasquale Corsi
Presidente della Società di Storia Patria per la Puglia
(già ordinario di Storia Medievale presso l’Università di Bari)
Scheda bibliografica
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Autore Ricci Roberto
Titolo Il Cardinale Troiano Acquaviva D’Aragona tra erudizione e storia
Editore Hatria di Atri (Te)
Prezzo € 48.00 (Cofanetto)
ISBN: 9788832172614
data pub. agosto 2022
In vendita presso:
iDisponibile presso la Libreria Emmaus di Conversano
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