In cerca di santi lungo la Via Francesca
Giù per la statale Bari-Lecce, all'altezza di Rosa Marina, Alfonso Casale usa accogliere gli amici in una immensa masseria ottocentesca dalle stanze ariose e dai giardini molto curati. Il silenzio abita gli ambienti, rotto dall'uggiolio dei cani, dal pigolio delle gazze e dei passeri. Lo spiazzo antistante l'edificio è chiuso tra murate di pietra serena e alle spalle godi la fuga dei vigneti e degli oliveti in fila verso l'Adriatico. Una villa nello stile dell'antico mondo pompeiano, ricco di pergolati, di palme, di fiori, di porticati. È il luogo dove Casale si è ritirato da decenni, a pochi chilometri dall'azienda Telcom che questo irpino geniale ha creato negli anni '70. Cominciò realizzando vasellame di resina, poi ha intuito che nello stesso materiale poteva produrre tubi, recipienti, elementi per scenografie e persino pozzi. Ricordo il tempo in cui, per beneficenza, Alfonso approdò in Africa e realizzò strutture irrigue e pozzi per interi villaggi che da primavera ad autunno per la siccità muoiono di sete. Intanto cresceva il numero di operai nell' azienda avveniristica a grembiule del grande panettone calcinoso di Ostuni. Alfonso aggrediva il mercato internazionale e costruiva filiali in Europa orientale e in America, dava lavoro a molte centinaia di operai. Perché è questo che ha contraddistinto l'attività di Casale, un impegno produttivo che si è presentato anche sotto le vesti di impegno civile, di concretezza realizzativa. La statale fila tra gli eucalipti, gli oleandri e le ville di Rosa Marina, un rifugio estivo per la ricca borghesia barese, è un nido d'ape di pullman, di auto e di camion. Un asfalto che corre parallelo all'antica Traiana e che in molti punti, nel tempo, l'ha sostituita, ne ha coperto le basole, l'ha cancellata. Alfonso ce l'ha lì affianco, giorno e notte, la percorre per scendere a Villanova dove ha una barca, la osserva dal silenzio ventoso della sua villa, dai filari degli olivi che tremano di fronte all'avanzata della xylella, di fronte alle orde del punteruolo rosso. Ostuni è dalla parte opposta, col suo bianco nevoso, i suoi merli barocchi e racconta ai viaggiatori mille storie, dalla collina di Agnano che ospitò abitatori paleolitici e dove fu rinvenuta una gestante, morta di parto alcuni millenni orsono, prima della civiltà peuceta e magno greca, prima dell'arrivo dei romani, i maestri muratori che lastricarono a dire di Strabone una antica mulattiera che mare mare scendeva verso Brindisi. Era stato il console Minucio Felice a coltivare la bella idea di trasformare il sentiero in una strada carreggiabile, una statale dei tempi antichi, lunga 433 chilometri, quando i romani avevano cominciato a coltivare l'idea che uno Stato tanto è più grande quanto più può raggiungere con rapidità dal centro politico le periferie lontane dei suoi possedimenti. C'era a quei tempi una strada altrettanto importante in Puglia, era la via Appia che fuggendo da Roma sbucava a Benevento ed entrava dall'Ofanto nei territori di Venosa e proseguiva verso Netium e Silvium per scendere fino a Taranto, da dove raggiungeva Brindisi. Sul mare, in territorio pianeggiante, correva invece la via Minucia, che col tempo, man mano che l'Appia veniva dismessa forse perché disagevole, chiese di essere risistemata, allargata e lastricata. Fu Traiano, nel 108-110 d.C. a sposare la causa della rete viaria pugliese, decise di mandare scalpellini, maestri muratori e maestranze viarie laggiù, perché le merci potessero salire con facilità dai porti adriatici a Roma, perché le sue legioni potessero scendere da Roma a Benevento e di lì a Canosa, Ruvo, Bari, Egnazia e Brindisi. Le città che Orazio, già nel 37 a.C. aveva toccato e descritto nella Satira Quinta, mentre, in colonna con i carri e le mercanzie, accompagnava l'amico Mecenate sceso a trattare la tregua tra Ottaviano e Antonio. La statale che lambisce la villa di Alfonso e si incunea tra Torre Canne, Pilone, Villanova e i territori di Ostuni è la memoria rumorosa e frusciante di quella via Traiana che per secoli è stata utilizzata da Bizantini, Aragonesi e Spagnoli ma che negli ultimi secoli se non cadde in disuso ha visto distendersi sul suo corpo una moderna via che il Novecento ha provveduto ad asfaltare. Battendo quella strada, sentendola palpitare nella vitalità notturna del traffico, Alfonso Casale ha maturato l'idea di raccontarla, di fissarne la storia e i destini futuri in questo libro. Successivamente, un viaggio penitenziale fino a Santiago di Compostela gli ha permesso di coniugare il flusso laico dei viaggiatori con quello religioso dei pellegrini. Due fiumi che si tengono per mano, si fanno compagnia, a volte si fondono. Fermo sui muretti bassi del giardino ha meditato a lungo sul destino della via Traiana, l'ala moderna e marina dell'Appia. Quella via ha avuto infatti una funzione laica in età latina, quando era necessario far imbarcare le legioni a Egnazia, a Brindisi, a Otranto per sferrare gli attacchi ai nemici di Roma, a Pompeo, a Marcantonio, a Bruto e Cassio e poi per raggiungere Bisanzio, la capitale dell’impero d'Oriente. Vennero più tardi le Crociate, le folle di cavalieri e di soldati che si imbarcarono per la Terra Santa, Gerusalemme faceva da richiamo a folle di esaltati pellegrini che lasciavano l'Europa per andare a visitare il sepolcro di Cristo, i cosiddetti Palmieri. Era la coda della via Francesca, la strada che i Franchi prima e i Normanni poi lastricarono dal cuore dell'Europa per raggiungere Roma e di qui gli imbarchi adriatici per Israele. Le grandi vie della fede si erano aperte in pieno Medioevo nel ventre del vecchio continente, strade di redenzione e di speranza dirette a Santiago di Compostela, in Galizia, alle reliquie di san Tommaso di Canterbury, verso Colonia dove si conservavano le reliquie dei Tre Magi e soprattutto alla tomba degli Apostoli a Roma. Il Cammino di Santiago è una delle prime vie che portavano a un santuario non necessariamente collocato sulla strada per Roma. Un crocevia importante con la Francigena, della quale l'Europa oggi si ricorda per ricostruire un percorso che un tempo ha unito i Mari del Nord con il Mediterraneo. Una strada che si diramava in altri meandri e che si è servita di molti tronchi stradali già esistenti. Così la Francigena, una volta superata da Nord la capitale della cristianità, si è sfrangiata in un delta infinito di strade, la Popilia, diretta a Reggio Calabria, l'Appia appenninica che penetrava nella Lucania, ancora un ramo dell'Appia che scalava la murgia settentrionale appulo-lucana e da Potenza scendeva a Matera, quindi la prosecuzione marina della Traiana e il varco Benevento - vallo di Bovino verso San Michele a Monte Sant'Angelo, quella che è conosciuta come terminale della Via Sacra Langobardorum. Queste strade che con l'avvento della modernità sono andate dimenticate, hanno subito spesso devastazioni tali da diventare irrecuperabili, sono state distrutte per lunghi tratti, comprese purtroppo, in prossimità di città, in aree edificabili e conseguentemente sconquassate, come ho visto tra Roma e Benevento, e più a sud a Monopoli, a Corato, ad Andria, a Canosa. Senza parlare di ciò che è avvenuto nel Mezzogiorno dopo la polverizzazione delle terre demaniali operata dall'Ente Riforma in poderi e quote. Molti tronchi di quelle strade sono diventati porzioni di fondi rurali, di vigneti e maggesi. Le pietre e le chianche usate per lastricare le vie sono state riutilizzate come fondamenta di masserie, muri a secco, trulli e diventa difficilissimo oggi ricostruire i tracciati, battere le antiche strade. Lo ha dimostrato nell'estate del 2015 una équipe di viaggiatori al seguito di Paolo Rumiz, proiettati alla riscoperta dell'antico tracciato della Via Appia. In un viaggio dell'anima al quale Alfonso si è affidato, il Cammino di Santiago si è delineato sotto i suoi piedi con lo stesso fascino che aveva in età medievale. Le case di accoglienza, i rifugi, le chiese, i silenzi delle campagne, le piccole colline, le distese di fiori e di erba disseminate lungo i 116 chilometri del percorso, gli hanno parlato di storia e di fede, gli hanno fatto assaporare ciò che le folle di pellegrini vivevano al tempo dei grandi cammini di penitenza intrapresi in Europa. Da Mont Saint Michael, nell'alta Normandia, i Romei scendevano alla Sacra di San Michele in vai di Susa e di qui proseguivano verso Roma. Ma Roma era solo il centro di un cammino sacro che affrontava i territori della Langobardia Minor e della Normandia italiana, fino a Monte Sant'Angelo, il luogo dove l'Arcangelo aveva voluto fissare la propria dimora d'Occidente o fino a Brindisi, da dove i Palmieri partivano per l'Oriente. Quel tracciato spagnolo che porta al santo apostolo diventato "matamoros", combattente dei mori, apre la mente imprenditoriale di Alfonso a un progetto concreto per la sua terra d'adozione. Non sarà forse il caso di proporre il percorso della via Traiana come percorso sacro tra il Gargano e il Salento? In un tempo in cui la Comunità Europea riscopre la storia comune del continente e apre la borsa ai progetti che propongono tracciati antichi e carichi di storia e di fede? Non ha forse la Società Geografica Italiana presentato il 10 marzo 2015 un dossier di candidatura della via Francigena meridionale ad Itinerario Culturale Europeo? D'altro canto la Puglia può contare su vari percorsi storicamente rilevanti da riesplorare e riattare, anche se non tutti afferenti alla rete delle vie Francigene. E con queste si pensi anche all'utilizzo dei fratturi, le lunghe vie erbose che portavano le mandrie dalle montagne appenniniche e murgiane fino alla Regia Dogana delle Pecore, in Capitanata. Così altre strade si aprono alle falde del Gargano in direzione dei santuari di Pulsano, di Monte Sant'Angelo e della tomba di Padre Pio. Un reticolo di strade percorse un tempo da greggi e mandrie e da file di traini e di pellegrini e dalla cui polvere si sollevano anche le fantasie degli individui e delle collettività. Alfonso si è invaghito di un progetto che propone all' amministrazione regionale della Puglia e al ministero del turismo, un progetto che riguarda la Francigena - Traiana ma che non esclude altre strade, perché si emuli il Cammino di Santiago e si facciano delle tombe di San Nicola e di Padre Pio, della grotta dell'Arcangelo e del Santuario di Finisterre delle mete di un turismo religioso desideroso di dialogo con la bellezza dei paesaggi e con l'infinito che si apre dalle cime del Gargano e battendo tutta la Puglia raggiunge la punta marina dell'Adriatico, dove finalmente può abbracciare l'orizzonte evanescente dello Ionio.
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