La mia vita non si è ancora stancata di riservarmi tante belle sorprese. Fra queste l’aver conosciuto, in questi ultimi anni, Giovanni Sibilia è stata una delle più interessanti. Noi, che siamo perversamente abituati a giudicare il nostro prossimo secondo categorie mentali piene di pregiudizi, siamo spesso e per fortuna smentiti dall’irrompere di conoscenze nuove e sorprendenti. Chi avrebbe mai pensato che un bravo tecnico dei telefoni, abituato quasi a vivere silenziosamente nell’orizzonte del lavoro e della famiglia, avesse e coltivasse una passione nascosta per la creatività linguistica in dialetto conversanese? E chi avrebbe mai sospettato che il nostro Giovanni Sibilia avesse organizzato nella sua mente un acuto punto di riflessione e di osservazione della vita di noi umani? A me personalmente il suo invito a presentare quest’opera è stato particolarmente gradito. E vi spiego perché. Da anni sostengo che la lingua di un popolo è l’archivio articolato della sua storia, della sua grandezza e della sua miseria. Ciò vale anche e soprattutto per le parlate dialettali che, fagocitate, soprattutto nel Sud Italia, dalla lingua italiana, rischiano di scomparire e far scomparire con la loro dissoluzione la sedimentazione storica della cultura paesana. È pur vero che a Conversano, grazie ad opere come Il Conversanese di G. Caprio,Dizionario della Parlata Conversanese di P. Locaputo, I Poésì di D. Pace, I Störie du Paiëse Nustre di M. Giannuzzi, si sta riscoprendo la bellezza della parlata dialettale. Ed ora ecco questo bel lavoro, sempre in dialetto conversanese, di G. Sibilia. Sorprende che il titolo è un neologismo dialettale, formato dalla fusione della congiunzione “e” con l’esclamazione “mbè”: ma la parola Èmbè, che da il titolo al lavoro è bella nella sua sonorità e invita, di fronte a ogni tipo di difficoltà, ad affrontare la vita con un po’ di humor e con tanta voglia di riprendere il cammino. L’autore non vuol essere uno studioso del dialetto, bensì il suo narratore in uno stile personalissimo fatto di versi non ingabbiati in una metrica stringente e con una rima piena di musicalità, non importa se ricercata o spontanea. Nascono così racconti che possono essere classificati come storielle, favole, novelle tutte condite da uno sguardo che, se può apparire graffiante e ironico, è in realtà pieno di umana comprensione per le debolezze e le fragilità umane. G. Sibilia osserva l’umanità nella sua dimensione mitologica, religiosa, sociale, esistenziale. Molti racconti biblici sono da lui interpretati con un sottile senso del sorriso e con un leggero atteggiamento moraleggiante. Il diluvio, la torre di Babele, Sodoma e Gomorra, il figliuol prodigo si adattano alla sua creatività concettuale in espressioni dialettali che inducono al sorriso e alla riflessione. I preti stessi (ma questo accade nella “storiellistica” conversanese) sono spesso bersaglio delle sue innocenti canzonature. Il progresso, la rottamazione, lo scansafatiche, la famiglia, l’amore e i tanti aspetti della vita umana sono passati al filtro del suo sguardo indagatore e trasformati in racconti godibili nelle forme narrative e nella concatenazione narrativa che sfocia, spesso, in sorprendenti conclusioni. La saggezza contadina, la personificazione degli animali, i paesaggi tipici del nostro territorio, i profumi dei nostri campi vivificano tutte le storielle in un crescendo di interesse e di piacere nella lettura. In famiglia, tra amici, in una serata conviviale queste creazioni dialettali di G. Sibilia potranno portare gioia e serenità; ma è necessario che i lettori vi si accostino non solo con una prospettiva di lettura piacevole, ma anche e soprattutto con la voglia di riscoprire la bellezza e la dignità linguistica del dialetto conversanese. Mi piace concludere che come è importante proteggere e restaurare e preservare dal decadimento i nostri monumenti di pietra, così è anche importante amare e non far morire quel gran patrimonio immateriale che è la lingua dei nostri antenati.
Giovanni Sibilia ha compiuto questo atto d’amore.
Grazie Giovanni!
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" “Èmbè?”è una formula magica che in tante occasioni della vita molti di noi avrebbero voluto sentire da qualche persona saggia per essere aiutati a venire fuori da quei problemi che, a volte irragionevolmente, appaiono irrisolvibili e grandi come montagne. È una parola che, detta col cuore, incoraggia. In sé non dice niente, ma sottintende tutto. Potrebbe addirittura sottintendere una filosofia di vita. Attenzione, però! Il confine fra dirla con amore e dirla con cinismo è molto incerto. Piace ascoltarla quando è detta con amore, ed è in questa accezione che “Èmbè?” è utilizzata quale titolo di questa raccolta che contiene tante storie paesane, in ciascuna delle quali s’intravede, oltre a una sottile vena umoristica, anche un “èmbè?” incoraggiante o di buon auspicio."
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