In questo agile libro Ignazio Sardella delinea un percorso attraverso gli sviluppi storici della meccanica quantistica che consente di entrare in contatto con alcune fra le più importanti dispute scientifico-filosofiche della fisica del Novecento. Va sottolineata la gradevole novità di un autore, laureato in fisica, che ritiene di dover fare i conti con la storia della sua disciplina per comprendere (e far comprendere) gli argomenti scientifici più fondamentali. Mi è capitato in alcune occasioni di parlare dell'importanza della storia della fisica e una volta un docente liceale mi disse: "Non riusciamo neppure a terminare i programmi ministeriali, figurati se possiamo metterci a insegnare anche la storia della fisica! ". Ovviamente questo non è il modo giusto di vedere la cosa, perché si tratta semmai di insegnare i programmi ministeriali in chiave storica. È probabile che questo richieda uno sforzo di riqualificazione, ma ne vale la pena, anche dal punto di vista delle soddisfazioni che il docente può trarre dalle sue stesse lezioni e dal loro impatto sui discenti. L'esperienza mostra che anche dal punto di vista strettamente pedagogico è molto utile un insegnamento della fisica, che mantenga un rapporto costante fra la storia della disciplina e i suoi contenuti più tecnici. Si tratta naturalmente di un annoso problema. Già cinquant'anni fa Erwin Schrödinger sottolineava l'importanza della storia della fisica, affermando: "La storia è la scienza più fondamentale perché non c'è conoscen¬za umana che non possa perdere il suo carattere scientifico quando gli uomini dimenticano le condizioni in cui ebbe origine, le domande a cui rispose e le funzioni per servire le quali fu creata". Aggiungeva poi che la fisica stava correndo il rischio di separarsi dalla sua base storica, senza della quale una comprensione reale della sua natura e delle sue conquiste sarebbe diventata impossibile. Purtroppo questo pericolo si è nel frattempo trasformato in una dura realtà. La ricerca e l'insegnamento scientifico odierni spesso ignorano completamente le congetture, i contrasti e i meccanismi di scelta che hanno generato le idee prevalenti, con il risultato che proprio le faccende più fondamentali e più discutibili sono accettate acriticamente. Nel suo noto libro Struttura delle rivoluzioni scientifiche Thomas Kuhn ricorda di avere egli stesso dovuto cambiare radicalmente le proprie idee sulla natura della scienza dopo avere seguito un corso di storia della fisica mentre stava preparando la tesi di dottorato. Più tardi, dopo essere diventato un esperto di fama mondiale e avere acquisito conoscenze più approfondite di storia e filosofia della fisica, Kuhn si è dovuto convincere che i fisici accettano dogmaticamente i postulati basilari della loro scienza, e che "colui che appartiene a una comunità scientifica matura è, come il tipico personaggio del romanzo di Orwell 1984, la vittima di una storia riscritta da coloro che detengono il potere". Insistendo sull'importanza della storia non voglio affatto dire che il giusto atteggiamento sia quello storicistico secondo cui i contenuti della scienza sarebbero in ultima analisi tutti storicamente determinati dalle mode culturali, o dai rapporti di produzione! No, la scienza è anche conoscenza della realtà oggettiva e come tale ha contenuti irreversibilmente validi. Per esempio si pensi all'affermazione: "II sole è una stella in tutto simile a quelle che vediamo brillare nel cielo notturno, solo più vicina". Mille altri esempi potrebbero essere dati, naturalmente, anche estratti dalla microfisica. E tuttavia la scienza non è affatto riducibile alle sue pur grandiose conquiste conoscitive, perché le sue strutture teoriche contengono anche affermazioni di carattere astratto, non derivabili dalle conoscenze empiriche. Contengono, inoltre, affermazioni che hanno carattere congetturale, e quindi provvisorio, la cui natura incerta è stata però dimenticata da molti scienziati, proprio a causa della rimozione della dimensione storica del pensiero scientifico. Così alcune importanti congetture (come quella del big bang) sono diventate quasi dogmi indiscutibili. É un fatto evidente che persino le discipline più fortemente formalizzate (la matematica e la fisica teorica) sono state in realtà sviluppate intrecciando due diversi modi di ragionare. Il primo modo è quello qualitativo e dialettico ed è basato sul buon senso e sulle categorie generali di pensiero che abbiamo sviluppato nei molti millenni che hanno portato la razza umana ad affermarsi. Questo tipo di ragionamento serve nei momenti più importanti: la scelta della ricerca da fare, gli scopi che si prefigge, l'adozione di una strategia, il modo specifico di superare o aggirare gli ostacoli che ci si trova ad affrontare. Il secondo tipo di ragionamento è invece quello strettamente matematico, dunque rigoroso, basato sulla logica non contraddittoria, ed è relativamente recente dato che è stato inventato appena tremila anni fa. Questi due diversi modi di ragionare si completano l'un l'altro e la scienza moderna non sarebbe stata possibile se uno di essi fosse venuto a mancare. Il ragionamento qualitativo e quello quantitativo-formale sono paragonabili al guidatore e alla sua automobile. Quanto faticoso sarebbe fare a piedi un viaggio di mille chilometri! E invece lo si fa in un numero ragionevole di ore usando una moderna autovettura. Il grande guadagno in velocità è reso possibile dalla sofisticata tecnologia moderna. Tuttavia sarebbe stupido se la ben giustificata ammirazione per il progresso tecnico ci portasse a pensare di eliminare il guidatore. Chi potrebbe determinare le motivazioni del viaggio e la destinazione da raggiungere? Chi sceglierebbe il percorso da seguire fra le diverse alternative possibili? Chi potrebbe ovviare ai tanti piccoli inconvenienti inattesi che potrebbero manifestarsi? Allo stesso modo nella scienza il ragionamento qualitativo dirige quello formale e cerca di sfruttarne al massimo la potenza. Dunque ogni scienziato ha una strategia, e questa si manifesta naturalmente ben più nei suoi ragionamenti qualitativi e generali che nei passaggi tecnici e formali. Anzi, nella misura in cui un ragionamento matematico è rigoroso non c'è nulla di soggettivo che vi possa essere presente perché sarebbe fatto allo stesso modo da ogni altro ricercatore. Infatti oggi i calcoli matematici di una ricerca di fisica teorica o di matematica pura, anche i più astratti, vengono sempre più spesso effettuati, o almeno controllati, con un calcolatore usando particolari programmi (come Mathematica) con un forte guadagno di tempo e con una quasi completa eliminazione delle possibilità di errore. Ma la soggettività è presente, e come, nella scienza moderna. Se si pensa al profondo e irrisolto dibattito fra Einstein e Bohr nella fisica dei quanti, o alle opposizioni di certi fisici al relativismo, o ancora al dibattito sull'origine dello spostamento verso il rosso degli spettri degli oggetti extragalattici, ci si rende conto dell'esistenza di grandi problemi irrisolti nella fisica contemporanea. Le scelte dei diversi scienziati di parteggiare con calore per questa o per quella soluzione non possono che derivare da motivazioni non riducibili a una indiscutibile evidenza empirica. E proprio qui che entrano in campo i condizionamenti culturali e le scelte filosofiche di ciascuno! Ed è per questo che un'insegnamento astorico basato su scelte rigide non mette lo studente liceale di fronte alle diverse importanti alternative ancora aperte e lo obbliga o a rifiutare nel suo intimo le discipline scientifiche, o a compiere un atto di fede proprio là dove sarebbe più facile interessarlo agli sviluppi della scienza: sulle questioni fondamentali. Naturalmente non vale in generale l'idea di seguire il parere della maggioranza. Sulla guida delle maggioranze è giustamente fondata ogni democrazia, ma la scienza ha natura diversa e se avessimo seguito il parere della maggioranza degli astronomi contemporanei a Galileo staremmo ancora a calcolare epicicli, invece di spedire sonde nell'intero sistema solare e di usare i grandi telescopi per conoscere le profondità dell'universo! Occorre dunque un tipo di insegnamento storico e critico, ben diverso da quella forma di indottrinamento preventivo che viene talvolta praticata nelle scuole medie superiori (naturalmente l'indottrinamento finale ha luogo all'università). Per raggiungere questo livello i nostri docenti dovranno rieducarsi autonomamente. Esistono per fortuna in Italia, già tradotte, tutte le principali opere storiche utili ad affrontare l'insegnamento delle materie scientifiche in una chiave diversa (Koyré, Crombie, Clagett, R. Hall, Sambursky...). Esistono perché ha funzionato quello che Gramsci chiamava il cosmopolitismo dei nostri intellettuali, e questo ci pone in condizioni favorevoli rispetto ad altri paesi europei più chiusi alle influenze culturali esterne. D'altra parte c'è anche una specifica tradizione italiana da non sottovalutare, che risale a Federigo Enriques, Giorgio de Santillana, Guido Castelnuovo, e altri. E ci sono infine, in buon numero, gli storici della fisica che operano nei dipartimenti di fisica delle università italiane e i docenti liceali, come Sardella, che si muovono nella giusta direzione storico-critica.
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È vivo o morto il gatto di Schrödinger? Possiamo conoscere la sua sorte senza guardare nella scatola in cui si trova? Per dare una risposta alle domande poste dal celebre paradosso ideato dal fisico Erwin Schrödinger siamo costretti a riflettere sulle categorie fondamentali su cui si basa il nostro modo di pensare e di vivere: i concetti di realtà oggettiva e di causalità, entrambi messi in crisi dalla cosiddetta interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, la più sconcertante teoria fisica elaborata nel Novecento. È in questo secolo infatti che si rende evidente una contraddizione: la scienza, i cui trionfi hanno cambiato la vita degli uomini, ridimensiona le sue aspettative sulla possibilità di fornire un quadro unitario e convincente dei fenomeni naturali, approdando ad una concezione sempre più limitativa della conoscenza umana. In questo volume, attraverso l’analisi delle intuizioni dei fondatori della nuova fisica, si ripercorre il cammino che ha portato all’affermazione di queste idee. Nella prefazione, Franco Selleri, autorevole oppositore dell’interpretazione di Copenaghen della meccanica quantistica, svela i presupposti filosofici alla base di questa teoria chiarendo i termini di una battaglia ideale, combattuta tra gli altri da Albert Einstein, il cui esito appare tutt’altro che deciso.
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