... verrà il sereno
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Presentazione versi di:  Guido Lorusso

  
... verrà il sereno
seconda raccolta di poesie e dipinti

versi ...

Donato Mancini, docente di filosofia presso il Liceo socio-psicopedagogico di Conversano, si è accontentato per innata riservatezza di dipingere e di comporre in una prima fase solo per se stesso e per poche persone a lui vicine e care; poi, a partire dalla metà degli Anni Ottanta è uscito allo scoperto, si è mostrato al pubblico e si è disposto al confronto.

D'altra parte, l'arte, se pure nasce come intimo miracolo del cuore/anima e della ragione/mente, immediatamente dopo vuole comunicazione e pubblicizzazione e spinge pian piano a sviluppare contatti e rapporti con il mondo reale e, in particolare, con le diverse agenzie culturali operanti nel territorio, affinché si giunga ad organizzare e a tessere le necessarie forme di esposizione-diffusione dei prodotti.

Così, Donato Mancini ha tentato le sue prime mosse di pittore nel 1985, nel 1986, nel 1987 e nel 1988 presso la "Pro Loco" di Conversano, sua città natale, presso il locale Museo Civico, posto nell'antico e maestoso ex monastero di San Benedetto ("Monstrum Apuliae") e nella città di Mottola, nell'ambito di una rassegna d'arte e di musica.

Dopo questa intensa stagione, durata circa un quinquennio, ha posto per un po' i remi in barca (lui non è "pescatore di frodo ", ma "inquieto navigante che rema inseguendo il senso oscuro della vita") si è tirato fuori dalla "mischia", si è interrogato sul suo lavoro di artista, ha sentito l'esigenza di riflettere, sperimentare e dipingere di nuovo in solitudine per affinare e definire meglio il suo stile, la sua bibliografica, i suoi colori e la sua poetica: tutto ciò è durato circa un decennio.

Poi, nel 2000, è uscito ancora allo scoperto e ha mostrato i segni di una maturità artistica conseguita tra intenso impegno di studio e di lavoro, tormenti dell'anima e inquietudini esistenziali-amorose. Su queste rifondate basi artistiche ha esposto nuove opere presso la "Pro Loco" di Conversano (anno 2000), nell'Expoarte di Bari, nella prestigiosa galleria Pascali e nella chiesa di San Giuseppe a Polignano a Mare (anno 2001). Quindi, agli inizi di quest'anno ( 2002) ha trovato il modo di organizzare una sua bellissima mostra nel Museo Civico di Rutigliano. Per questa occasione pubblica il volume di poesia e di pittura avente per titolo "Oscillazioni", edito per i tipi della "Stampasud" di Mottola, che si giova, tra l'altro, di un'intensa presentazione stilata dal prof. Vito L'Abbate, già Direttore del Museo civico e della Biblioteca di Conversano, e di un interessante intervento redatto dal critico d'arte prof. Enzo Varricchio (fa pensare il rapporto tra Eros e Thanatos da questi individuato nel libro di Mancini, "doppio ed ibrido, come duale è la natura umana").

Ora, nel dicembre del 2002, Donato Mancini, come un fiume in piena, carico di entusiasmo, di "voglia di fare", di essere e di comporre, affronta e mette a punto con altri suoi dipinti una nuova grande mostra nella chiesa di San Giuseppe in Conversano nell'ambito della rassegna d'arte "Incontri a Sud-Est", curata- organizzata dal Polo Bibliotecario-Culturale (CRSEC BA/15 e Biblioteca Civica "Maria Marangelli"). Ed anche in questo caso, in concomitanza dell'inaugurazione della Mostra, Donato Mancini fa in modo che sia presentato il corrispettivo presente volume-catalogo: questo, intitolato "... Verrà il sereno", contiene una "riflessione" dell'autore su Amore-Eros e sulla ricerca della bellezza, preceduta da questa mia nota introduttiva e da un intervento critico della prof.ssa Francesca Palazzo sull'opera pittorica messa in mostra, e raccoglie in maniera organica le raffigurazioni-riproduzioni dei dipinti esposti, così pure tutte le ultime liriche di Mancini-poeta, sistemate in qualche modo a sostegno e a corredo delle opere pittoriche, come una sorta di "note esplicative dell'anima" dell'artista-pittore.

A riguardo della pittura di Mancini, questa si sviluppa e si snoda lungo tre principali - fondamentali linee direttrici: da un lato, coglie il paesaggio brullo e silente della Murgia; dall'altro, rappresenta il paesaggio fiabesco dei trulli, delle masserie e delle case bianche "sparse" nella madre-terra e nel verde spazio infinito del Sud-Est barese; infine, lasciato da parte il mondo rurale, pone ampiamente in risalto il paesaggio marino della Puglia mediterranea con i suoi lidi, con i suoi porti, con i suoi borghi, con le sue scogliere, con le sue barche e con le sue vele (questo tipo di paesaggio lascia intravedere come in lontananza, sullo sfondo, aspetti, segni, colori e bagliori della cultura magno-greca, di quella romano-latina, di quella arabo-barbaresca e persino di quella veneziana).

Questi paesaggi, privi sostanzialmente di umana animazione (la Murgia brulla, i trulli fiabeschi e i lidi marini) sanno d'arcaico e d'antico, sono quiete e riposo dell'anima dopo le tempeste, le inquietudini, i travagli, gli affanni e i disagi della vita di tutti i giorni; ma sono anche, nel contempo, sogno, speranza, attesa e avventura onirica e diffondono sapori terrigni, odori di salsedine e profumi di brume. Le tinte e i colori delle diverse opere sono tenui, sfumati e pallidi, ma mai freddi e insensati, con prevalenza del rosa, del celeste, del bianco, dell'azzurro, del rosso-terra e dell'ocra chiaro. Sono tinte e colori che richiamano inevitabilmente alla mente le cosiddette "poesie crepuscolari" (già acutamente indicate dal prof. Vito L'Abbate nel primo volume-catalogo di Mancini), quelle cioè di Sergio Corazzini e di Guido Gozzano (questi due, in primo luogo), che personalmente ho tanto amato ed imitato negli anni del ginnasio per i toni, per gli stati d'animo, per le malinconie, per i languori, per le tinte trasparenti, per gli sguardi diafani delle donne/amanti, per le foglie gialle e per i tramonti struggenti e lancinanti.

A riguardo dei componimenti poetici di Donato Mancini, raccolti nel presente volume (l'analisi qui prende necessariamente le mosse anche dalla precedente pubblicazione e si fonda, così, alla fine dei conti su di un corpus poetico alquanto unitario), bisogna dire, in verità, dopo aver ben riflettuto e ponderato, che questi non sono posti in sott'ordine rispetto ai dipinti; tant'è che in fondo si evince che pittura e poesia sono elementi di pari valore artistico e si mostrano lungo lo scorrere delle pagine come espressioni diverse e parallele di una stessa anima.

Nelle sue poesie Donato Mancini si porta appresso senza tregua sussulti e battiti di cuore, tenerezze e fremiti d'amore ed anche assilli, affanni, ansie, incertezze, inquietudini, dubbi, illusioni, tormenti, disagi, speranze. Così, se pure l'artista-poeta si muove ampiamente sulle note di una "certa" disillusione e di un pessimismo di fondo, il suo pensiero e la sua ragione lo spingono a non "perdersi" in un "vano girovagare" di parole, e lo sorreggono, in ultima analisi, il cuore, l'anima, il bisogno di un amore assoluto/totale e la voglia di sentimenti intensi, puri e antichi.

In verità, però, non appare mai ben individuato l'oggetto del suo amore (una donna, forse?), di cui si colgono appena i contorni e i tratti essenziali, più una "ombra riflessa" che le "forme concrete".
Forse l'Amore è anche un pretesto per uscire dal grigiore dei giorni, dalla micidiale routine quotidiana, un pretesto per trovare in qualche modo una fuga dall'ansia e dal "mal di vivere". D'altra parte, nella nostra società moderna supertecnologica, computerizzata, informatizzata e parcellizzata, la vita è diventata tremenda ed impossibile, si sono persi i valori di fondo, quelli forti della tradizione, è scaduto l'amore dello studio, si è diffuso un consumismo sfrenato, massificante e terrificante, il cattivo gusto è diventato moda imperante, i rapporti umani si sono fatti superficiali, la professionalità e la qualità delle persone sono state poste in subordine rispetto alla "furbizia" individuale (quella che porta danaro, "benessere" e il cosiddetto "successo"): allora, è evidente che tutto questo doveva portare, e ha portato, crisi profonda e lacerazioni violente in un soggetto sensibile, amante dell'arte, della cultura e del bello!

In tale contesto, la poesia (cioè il bisogno d'amore) in Donato Mancini è una specie di valvola per trovare forza di vita, una sorta di uscita di sicurezza per produrre energia pulita-esistenziale e per elevarsi sulle bruttezze, sulle aberrazioni di ogni giorno. Tutto questo, per la verità, mi fa tornare alla memoria per certi aspetti "l'Albatros" di C. Baudelaire. In questa famosissima lirica l'albatros, grande uccello degli oceani, è un po' come il poeta: questi è impacciato e a disagio quando si muove tra i problemi, gli affanni e le miserie quotidiane-terrene, ma libero, intenso e accorato quando si mette a poetare innalzandosi nel cielo dell'arte, lungo le vette impervie dell'amore e dello spirito.

A conferma di quanto sopra enunciato va sottolineato che lo stesso Mancini, richiamando Platone, così scrive nella sua Nota d'apertura del volume:"... l'Amore, cioè Eros, soffre, insegue, conquista, perde, riconquista ancora; è l'energia instancabile di chi è afflitto dalla struggente mancanza di qualcosa; è ciò che stimola l'amante e il filosofo alla ricerca e all'evoluzione continua, al costante perfezionamento di sé...". Per Donato Mancini, quindi, l'Amore (cioè la Poesia) è fondamentale spinta per vivere, anzi per sopravvivere, e non a caso fa precedere i suoi componimenti da una stupenda lirica di Pablo Neruda, nella quale si possono leggere i seguenti-emblematici versi di chiusura, che appaiono significativi e decisivi per cogliere appieno la visione dell'Amore nell'arte del nostro autore: "... se a poco a poco cessi di amarmi, cesserò d'amarti a poco a poco./Se d'improvviso mi dimentichi, non cercarmi, che già t'avrò dimenticata./Ma se ogni giorno, ogni ora, senti che a me sei destinata con dolcezza implacabile,/in me tutto quel fuoco si ripete,/in me nulla si spegne, né si dimentica,/il mio amore si nutre del tuo amore/e finché tu vivrai starà tra le tue braccia senza uscire dalle mie.".

L'Amore per Mancini è catarsi e redenzione insieme: se sente Amore è come rigenerato nello spirito e nel corpo, si impegna con rinnovata energia e con grande interesse tanto nell'arte, quanto nel lavoro e nello studio quotidiani. Così, egli, infatti, scrive nella lirica intitolata "Dipingerò squarci d'azzurro": "Dipingerò squarci d'azzurro fra strie di nuvole scure/quasi mani protese a svellere pensieri dal grigio fondo dell'anima;/farò spiovere fasci di luce a dissipar l'ombra che insidia il mio giorno;/traccerò un caldo raggio di sole che bruci le lucciole fatue e accenda sicure scintille./Non fingerò l'amore quale unica lente di vita:/darò voce a moti del cuore inclinanti a più vero sentire". Questo componimento può essere assunto come una sorta di "manifesto esistenziale" dell'autore.

Ma tutto è sempre molto complicato perché il suo amore ora "è gelida sferza di tramontana che intorpidisce il volto", ora è "gonfia schiuma di cresta selvaggia che batte allo scoglio", ora "indecifrabile appiglio d'un difficile viaggio che intriga e scoraggia" (dalla lirica "Verrà il sereno"). Mancini vorrebbe che la sua vita fosse "sintonia di cuore e di ragione", ma gli rimane sempre una "non risolta sete d'amore", accompagnata da una indefinita e tormentata ricerca di se stesso (cioè della propria identità), la quale talvolta si stempera, si placa e s'acquieta nelle tinte leggere e nei colori tenui dei suoi paesaggi, sospesi tra mare, terra e cielo, come tra sogno e realtà.

Guido Lorusso
Conversano, 11 novembre 2002

Presentazione dipinti di: Francesca Palazzo

  
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seconda raccolta di poesie e dipinti

... e i dipinti

Mi sono ritrovata a salire l'ultima rampa di scale per accedere alla mansarda, luogo delle “meditazioni” di Donato, caro e sincero collega, amico ormai da tanti anni. Adesso però vuole troppo: mi chiede una recensione scritta sulle sue opere. Lui, filosofo, profondo disquisitore di pensieri, vuole da me una recensione: il compito mi preoccupa un po’, ma mi lusinga. Ce la metterò tutta.

Arrivati nell'ampia stanza, colgo dalle diverse finestre la campagna circostante: è una bella giornata di sole, i raggi inondano l'ambiente; quante aperture, quanti scenari. Mi volto e, improvvisamente, sembra che il sole sia scomparso. Non capisco!

Mi giunge la voce di Donato: - “Allora, cosa ne pensi?”
Spaesata, cerco di risistemare tutto intorno a me: ma le antenne paraboliche, i pali, i fili elettrici e telefonici che fine hanno fatto?

Nel vasto ambiente, spartanamente arredato, le finestre dell'anima hanno tentato uno strano gioco: i dipinti, disposti lungo le pareti, con quelle cornici argentee, sembra vogliano giocare la carta dell'ambiguità.

Ristabilita la verità, mi accingo ad esaminare le ultime opere di Donato. Sono certamente sue, si riconosce il suo stile, è quello della persona dall'intensa esperienza artistica, che, sotto la coltre della soffusa atmosfera, cela i tumulti dell'anima e afferma la sua pazienza nella continua ricerca di un messaggio non da distribuire, ma per se stesso.

Il paesaggio è sempre il tema dominante: affonda le sue radici nell'indagine della vita stessa e della sua sostanza; un paesaggio silente, registrato con un linguaggio pittorico apparentemente di tutto riposo, dove, però, trascorre l'inquietudine, l'ossessione. L'espressione, per Donato, è trascrizione sentita e pensata, un'esperienza, una ricerca, un lavoro insomma in cui il gusto e la tecnica stessa si coniugano con la gioia dell'esito finale: non una semplice operazione tecnica, ma emozioni irripetibili, nel momento in cui i segreti traguardi della strada dell'arte non siano stati raggiunti. Una tela è posata lì sul tavolo di lavoro, con quella particolare imprimitura di sabbia, pronta a catturare un altro scenario, per farlo durare nel tempo. - “E' lì da un po' di giorni; non riesco a realizzare o ripetere certi effetti cromatici” - mi dice.

Mi soffermo ad analizzare gli elementi formali delle opere e rileggo quella stesura compositiva connessa alle soluzioni di spazio e forma, i rigidi teoremi costruttivi, quel velo metafisico dissolto in alcuni paesaggi e li ritrovo come il risultato di un cuore che palpita nella trascrizione di una remota realtà, priva di connotazioni contemporanee, in cui la vita, avvolta nelle tonalità dei verdi e degli azzurri, continua. Viene percepita dall'effetto della candida calce e nell'ordine dell'arioso scenario naturale con quelle umili case che, ovunque si trovino, a valle, lungo una scogliera, in cima ad un'altura, non sono mai sole, si tengono per mano, corazzate nella verità dei valori, così come si muovono in gruppo le variopinte vele su un mare di raffinate trasparenze.

Mentre continuo ad interrogarmi sui valori espressivi dei dipinti di Donato, mi rendo conto di essere già fuori, immersa nel verde in una giornata calda ed assolata.

In segno di amicizia.

Francesca Palazzo
Mola di Bari, 3 novembre 2002
Scheda bibliografica
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Autore Donato Mancini
Titolo ... verrà il sereno
Editore Stampasud Mottola (Ta)
Prezzo € 12,00
data pub. dicembre 2002
In vendita presso:
Donato Mancini cell. 329 496 6437
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Stralci
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Presentazione: prof. Pasquale Locaputo

  
Stralci
Terza raccolta di poesie e dipinti

In un primo momento mi ha incuriosito, piacevolmente incuriosito la proposta di Donato Mancini di offrirsi al pubblico nella duplice veste dipittore e di poeta.
Poi la curiosità si è fatta più pungente, si è fatta assillo di capire la strana discordanza, la dissonanza che emergeva vieppiù netta tra la sua pittura e la stia poesia, Ho avvertito la necessità di cogliere e approfondire i flessi che pur devono legare insieme i due aspetti della stia creatività, la necessità di scioglierne il dualismo. 
A prima vista si ha la netta sensazione, infatti, che ì due registri espressivi sì allunghino paralleli, destinati a non incontrarsi mai. 
E la sensazione si è rafforzata puntualmente ogni volta che Mancini si è proposto, nel 2001 coli "Oscillazioni" (in cui già dal titolo traspariva una certa distanza tra i due poli all'interno dei quali l'autore afferma di "oscillare"), e nel 2002 con "... verrà A sereno". Gli stessi prefatori delle due raccolte ne avevano avuto sentore quando ponevano le tachicardie dell'anima distinte dalla dimensione elegiaca delle tele (Enzo Varricchio) o confessavano che pittura e poesia ( ... ) sì mostrano come espressioni diverse e parallele di una stessa anima (Guido Lorusso). 
La stessa sensazione trova chiara conferma anche in "Stralci", questa ultima stia pubblicazione, tanto da far concludere, anche se provvisoria me n te, che pittura e poesia sono due modi espressivi che restano invariabilmente giustapposti, fino a contrapporsi. 
Nelle poesie traspare un animo tormentato, inquieto nell'affannosa, tenace ricerca di un senso delle cose, della vita, un'attitudine alla riflessione, l'ostinata volontà di filtrare il tutto attraverso il vaglio di un'analisi raziocinante complessa e sostanzialmente fredda, senza quel lirico abbandono ai moti del cuore che dà al verso il fascino e il calore della confidenza, dell'appassionato racconto delle vicissitudini interiori La natura stessa, a volte, diventa metafora o puro divertimento intellettuale, perdendo gran parte del magico incanto dell'evocazione. 
La pittura, al contrario, riesce ad esprimere in maniera più esplicita, lineare e coerente proprio quello che vien meno a volte nella Poesia: l'abbandono trasognato alle vibrazioni del cuore; la stessa scelta della tecnica 'sabbiata' conferisce al segno la vaghezza del sogno, da cui sembra che i solari paesaggi mediterranei affiorino incontaminati e indefiniti e restino come sospesi tra il realismo calligrafico e le fluttuazioni della rimembranza. Un afflato lirico cattura l'animo e l'immaginazione e ci  avvolge in un alone indistinto e sfumato, che sembra ignorare le asprezze del reale e della vita. Lo stesso incantato silenzio che vibra in tutti i suoi paesaggi, la luce, soffusa e quasi assente, asseconda immediatamente il bisogno di evadere, almeno per un po' e di perdersi nei morbidi ambiti del sogno. Nessuna lacerazione, nessuna dissonanza che possa rinviare alla realtà o agli affanni, ma il placido fluire di segni e colori; non tormento, non crucci, ma l'approdo ad una dimensione, direi, metafisica, in cui il travaglio del quotidiano sembra sfumare finalmente pacato. 
Qual è il vero Mancini? 
Se l'arte è messaggio, comunicazione, una finestra aperta sulle vicende intime e vivaci del cuore, c'è da chiedersi dove Mancini esprime meglio il suo essere e la sua storia interiore, nel versi o nei segni? nella musicalità del ritmo e della parola oppure nel magico cromatismo tenue e sfumato dei suoi paesaggi? 
Una risposta, forse, potremmo cercarla con una lettura più lenta e meditata dei suoi versi. In essi non sarà difficile scoprire che quanto più rallenta quello ansioso rincorrere il 'senso' delle cose, quanto più la sua fantasia e il suo cuore si disincagliano dal ceppi del raziocinio, tanto più chiara e vivida si dispiega la sua vena poetica: la sua poesia allora si fa subito paesaggio, forma, colore; si fa ricordo e rimpianto; si attenua discreta in un sospiro di preghiera o sì fa dolente ansia di sogni e di infinito: ho fissato puntelli di sogno / per un ponte che porti lontano, si confida in "Sentiero dì luci". 
Leggiamo il breve componimento che l'Autore pone - forse non a caso - come apertura di "Stralci", un componimento che appare veramente emblematico, programmatico:
Donarsi oltre ogni limite,
non importa come,
fino a smarrir se stessi;
e vivere... per ritrovarsi ancora.
Vi si intravede l'impossibilità o l'incapacità di donarsi oltre ogni limite: atto che rimane una tormentata urgenza, un'ansia subito inibita per il sopraggiungere di un'opposta urgenza, del bisogno di ritrovarsi, della volontà di rimanere piantato nella vita, nel quotidiano, nella 'materialità'. Vi si legge come una paura di smarrir se stessi, paura del naufragio leopardiano (e naufragar m'è dolce in questo mare); il poeta avverte un qualcosa che lo trattiene al di qua del limite, che lo incatena al 'reale', al vivere Ed è la sua attitudine al raziocinio, alla riflessione; è l'irrompere dissolvente della ragione! 
Eppure sempre vivissima è in Mancini la voglia di abbandono e di evasione, il bisogno di annidarsi nell'ovattato mondo del sogno, che vediamo pienamente materializzato nella pittura. 
E questo 'oscillare' tra sogno e realtà, tra sentimento e ragione è forse la radice ultima della poesia e della pittura di Mancini, della stessa sua personalità umana, oltre che artistica. 
In "Messaggio d'inverno" la bella immagine delle speranze di uccelli in attesa di andare incarna la stia ansia di lasciare l'uggioso mattino, districarsi dalle scheletriche braccia di crudi ciliegi e di librarsi finalmente verso un nuovo chiarore, verso quella arcana città popolata di angeli di puro sentire, lontano dalle voci intrise di Terra e di caparbietà ("La città degli angeli"). 
E' la stessa ansia che ritroviamo in "Traguardo", il bisogno di farsi preda dei sogni / e lasciarsi finire con essi. Quianche la musicalità della parola accompagna e favorisce la vibrazione del cuore, il languido cullarsi nel sogno. Presto però subentra l'attitudine alla riflessione, la preoccupazione di tirarsi fuori da ogni cedimento emotivo, come il voler aprire gli occhi sulla realtà e liberarsi di ogni illusione: a furia di vivere / si incontra la vita / con la morte dentro: gli elementi emozionali e suggestivi 'vita-sogno' si raffreddano nell'antitesi 'vita-morte' che stempera e disperde lo slancio diquel farsi preda dei sogni iniziale. 
Come si vede, c'è, ricorrente in tutta la sua produzione, una oscillazione tra sogno e realtà, razionalità e sentimento, mentre la ragione continua ad essere avvertita come antitesi, come un ceppo che gli impedisce di librarsi* nelle rarefatte atmosfere del sogno: il mio cuore appartiene al miei sogni; / dì quel sogni farò la realtà. E quando la realtà si compenetra e si confonde col sogno, allora la natura stessa anche quella ostile si carica di significati e di suggestioni, come in "Vite parallele", in cui l'alba livida di pioggia diviene per antitesi amante di teneri pensieri e la stessa luce ancor grigia si fa cibo di sogni ricorrenti / che legano la vita alla speranza. 
Di qui nascono i momenti migliori della sua poesia, l'illimpidimento della sua vena più profonda e autentica. Si avranno allora il delicato, discreto fervore religioso di “Ti cerco, Signora”, di “Rendimi l'anima”, di “Ritorno a casa”; i teneri e silenti colloqui con le persone amate di “Non chiedere”, di “Parla”, di “Vorrei svegliarmi un giorno”; le vibranti evocazioni naturalistiche con i paesaggi sbozzati non tanto nel chiarore meridiano quanto piuttosto nelle incerte velature notturne, visioni che non si esauriscono nell'onda descrittiva del verso, ma si caricano di sentimento e rinviano a realtà 'altre'. come in “Gli astri del cielo” (in cui l'Autore 'sente' lo squarcio lontano di luce di un tramonto autunnale non più come elemento pittorico, ma come eco del sentire di un cuore / a mute speranze sospeso; così una chiara sera di stelle è da lui vista come un brillare di lacrime / sulla malinconia di un volto.
Nei momenti più alti il verso si colora della “fatica di vivere” e rincorre trepido i sofferti percorsi del cuore (“La paga”): allora l'Autore si confida, si svela, si denuda, impietosamente ma candidamente (“Tempo e pensiero”, “A difesa del cuore”, “Vita parallela”, “Solipsismo di mare”) e finalmente sente di poter acquietare le ansie in un approdo non lontano (“Attesa”), libero da quella angoscia che gli ha fatto dire: Temo la vita / che si sfila senza traccia (“Vita che va”).
Sa bene, infatti, che una traccia di sé egli comunque l'ha affidata proprio qui, nel momenti più puri della sua poesia e della sua pittura, in quel brandelli di vita divenuti reliquia al cuore e al pensiero, di cui parla in “Cena di fine anno”, il componimento che significativamente chiude e suggella questa raccolta: 
Ho divorato
in solitudine 
brandelli di vita 
per farne reliquie 
al cuore e al pensiero.

Prof. Pasquale Locaputo
Scheda bibliografica
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Autore Donato Mancini
Titolo Stralci
Editore ComunicaAzioni
Prezzo s.p.i.
data pub. maggio 2006
In vendita presso:
Donato Mancini
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